Vittime e carnefici del terrorismo si dividono il peso del passato

L’altro ieri sera a Milano si sono incontrati un piccolo borghese e un idealista. Il primo, Mario Ferrandi, è un ex terrorista, assassino, il 14 maggio del 1977 in via De Amicis a Milano, dell’agente Antonio Custra. Oggi ha 54 anni, un figlio di 24 a cui dà buoni consigli, quasi da benpensante, e fa il collaudatore meccanico. Nel cortile della galleria d’arte Wannabee, luogo dell’appuntamento, appariva un po’ smarrito, come se stesse partecipando a qualcosa di più grande di lui. Ha chiesto che si sarebbe mangiato più tardi dopo l’incontro, ha fumato una sigaretta, si è guardato in giro, ha commentato i quadri della mostra «Ideologica» di Mimmo di Marzio, giù in galleria, dove si terranno anche i successivi appuntamenti dedicati agli anni di piombo, il periodo storico a cui i dipinti si ispirano.
L’idealista, invece, è Alberto Torregiani, da trent’anni in carrozzella, esattamente dal 16 febbraio 1979. Quel giorno era con suo padre, quando i Proletari armati per il comunismo aprirono il fuoco contro il gioielliere. Pierluigi Torregiani reagì, come nella sua indole, ma nella sparatoria ferì il figlio, rimasto paralizzato. «A quel punto - ha raccontato Torregiani - dopo aver visto che aveva sparato per errore a chi amava, credo che smise di difendersi, si lasciò uccidere». Al figlio Alberto - quindici anni e un plausibile destino di calciatore - rimasero il dolore, l’anonimato coltivato come una salvezza, e infine un forte idealismo battagliero, che invoca strenuamente, il «mettersi nei panni dell’altro» e l’esigenza del dialogo, persino con i carnefici. Un idealismo che minaccia anche una «battaglia internazionale e l’invito ai paesi europei a chiudere le ambasciate brasiliane nel caso non venga concessa l’estradizione per Cesare Battisti».
L’altra sera Ferrandi e Torregiani si sono incontrati per la prima volta, moderati da Stefano Zurlo e alla presenza di Mario Cervi, che quegli anni (in cui fu gambizzato anche Indro Montanelli) seguì in prima persona per il Giornale: «Ma vi sentivate un’infima minoranza?» ha chiesto a un certo punto Cervi a Ferrandi. La risposta, un po’ cerebrale, ha tradito la consapevolezza tardiva che i terroristi non rappresentassero nessuno, se non la propria follia.

Alla fine dell’incontro, il piccolo borghese si è diretto con altri a cercar cibo e vini. In pochi minuti l’idealista è rimasto solo, in carrozzella, senza più giornalisti e curiosi intorno, avendo finito la sua parte pubblica di vittima. Chi l’aveva portato lì, era a tavola.

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