Curve e aria condizionata. Mica valido però, se deve essere Francigena, Francigena sia. Sempre nel tratto che punta la Cisa, scendi a Villa Casola con le sue case in pietra, la chiesa a picco sulla valle e l'antico ospitale. Per Cassio, a farla bene, ci sarebbe il sentiero a mezza costa tra i boschi cedui di querce e carpini. Vabbé, ti concedi ancora un pezzetto in auto sulla statale. Cassio è a poche curve. Sosta nel primo bar a tiro, un paio di anziani a tavolino e Wilma, che prima gestiva l'albergo. A pellegrini come stiamo? «Li possiamo contare - sbotta la signora - Sono soprattutto olandesi. E meno male che dal Giubileo la Via avrebbe dovuto rifiorire». Polemica. Molto. Gli anziani smorzano: «Vada a vedere la Camminata dello scalpellino - insiste Gianni - qui erano quasi tutti scalpellini un tempo e chi viene percorre quella». E la Francigena? «Qualcuno passa. Dovevano farla anche con i cavalli, ma se non c'è lo stallaggio Piuttosto, prima di tirar dritto per Berceto, faccia un giro a Castellonchio col suo viale di sassi nel bosco». Riprendi a piedi, l'ingresso nel paese attraverso un arco in pietra ricavato sotto la chiesa, passi l'ostello e segui la SS 62, lungo un crinale che spazia dalla Val Baganza alla Val di Taro. Fino a Cavazzola da dove un sentiero sterrato raggiunge Castellonchio. T'aggreghi ad una coppia di francesi imbufalita. Arrivano da Lione e puntano Roma per ragioni turistiche e religiose. Tutto bello, «ma non c'è una segnaletica efficace e per chi cammina è una catastrofe - spiega lui - Non è d'accordo?». Beh in effetti è successo che più cartelli creassero confusione «per non parlare di vitto e alloggio. Sono carissimi, niente a che vedere con Santiago, assolutamente più organizzato». Raggiungi rapidamente Castellonchio che conserva le caratteristiche del «borgo-strada», ossia del paese costruito sui due lati della Via Francigena, con le case addossate a formare un sorta di corridoio. Ancora un po' di sentiero e poi di nuovo sulla SS 62. Ci sarebbe da riprendere il sentiero, ma molli i compagni francesi e prosegui sull'asfalto alla volta di Berceto e del suo Duomo di San Moderanno, ultima tappa prima del valico appenninico. Di là la discesa brusca in Toscana, verso il piano, sempre in mezzo ai faggi, verso i borghi dalle corone di castagni. Riparti dalla piazzetta del Duomo, per la via Romea ancora lastricata e corteggiata da eleganti portali fino alla statale. Un paio d'ore di passo lesto e sei all'Ostello, ex Casa Cantoniera, sul Passo della Cisa, quota 1050. Un boccone da Lisetta, 56 anni di ristorante su quel passo dove stramazzavano i corridori. «L'ha visto il Santuario? Lassù, in cima alla scalinata». Zaino in spalla,passo passo. Una chicca di chiesa minuscola: intorno all'unica navata gira il coro che mostra ex voto e ricordi: la maglia di Rivera e quella di Vittorio Adorni. E ancora storie a strati diluite nei secoli. Non resta che scendere l'altro versante, un po' più impegnativo, su sentieri comunque ben segnalati nel ventre di una Lunigiana bizzarra. Prima di arrivare a Cavezzana, ecco una «maestà» in marmo di Carrara, costante artistica di questo percorso, scolpita con soggetti religiosi che il viaggiatore incontra nei differenti luoghi di qua e di là del Passo della Cisa. Un segno di devozione popolare spesso murata nelle case e sopra le fontane, o tradotta in piccole edicole di pietra isolate lungo i sentieri o nei campi. Un po' sola, un po' agganciata a qualche novello pellegrino, sempre passo passo, a raccontarti un pezzetto di vita e a condividere la strada, alla Fellini o alla Sigerico. Incocci una coppia formidabile, giusto a scalzare quella stanchezza che ti pianta le gambe e ridimensiona entusiasmo e misticismo. Senti il caldo, gli insetti, l'erba che striscia la pelle. Poi pensi a quelli incantati dalla fede che magari cercavano di guadare il Magra e ci lasciavano la pelle. Almeno l'ombra di quello che sentivano, almeno la sensazione della percezione, perché quelle ore per quelle terre abbiano un senso. Ecco i due amici. Lui qualche primavera sul groppone, lei trent'anni di meno. Avanzano con lo stesso ritmo, tappe calcolate e chilometri da fare. Li affianchi, il passo da tenere è quello. Da dove arrivate? «Io sono di Trento-si presenta Italo Benedetti, occhi azzurri, zazzera bianchissima e barbone garibaldino-Lei, Ruth, è lituana, l'ho incontrata in rete e abbiamo deciso di fare insieme questo viaggio». Per intero. Sono partiti da Canterbury per raggiungere Roma lungo la Francigena. «Cerco di trovare pace in me stesso, non voglio vivere attaccato alle cose. Ho lavorato e cresciuto i miei figli, sono nonno e questo tempo adesso lo prendo per me. Poi c'è che motore propulsore che è la fede, che già ci ha portato a Santiago di Compostela e il prossimo anno a Gerusalemme». Nessuna esitazione, va mantenuta la media dei 35 chilometri al giorno. «Abbiamo avuto problemi con la segnaletica in Inghilterra e Francia, meglio in Svizzera, comunque la nostra bussola resta il GPS». Italo spinge una carriola con dentro 45 chili di tenda, maglie, e attrezzatura varia: «È la mia croce» butta lì ironico.
Ruth, macchina fotografica al collo, non si perde uno scatto, sorride. «Roma, ci arriveremo presto». Li guardi: «L'errore dell'uomo è l'eternità, non sa vivere la sua esistenza». Rallenti. Loro sanno già dove andare.(1- continua)
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