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Al Vittoriano l’arte africana contemporanea in bella mostra

È un messaggio animato da iridescenze quello di Amani Bodo, 21 anni, del Congo, che pone un cervello al centro del mondo per ripensarlo e trasforma le dita delle mani in uomini per legarle allo stesso corpo. Non è da meno «La Haute Diplomatie» di Frédéric Bruly Bouabrè, 86 anni, Costa d’Avorio, che mette in fila diplomatici pronti a stringere mani che, però, solo in rari casi si incontrano. Si arrende, mentre una pistola esce dalla sua tasca, il bimbo-soldato «Little Kadogo» di Chéri Samba, star della pittura africana. Chéri Cherin, Congo, punta il pennello contro «I nuovi padroni del mondo», tra guerra e miseria.
Usa la poesia Abdul Naguib che riporta i versi del mozambicano Craveirinha sugli abiti stesi di «Karingana wa Karingana» - C’era una volta - valorizzando i diversi significati del termine storia, al contempo conto e racconto. Con colori accesi, a volte violenti, temi forti, spesso drammatici, materiali poveri e dettagli inusitati, artisti cresciuti a contatto con l’arte internazionale e autodidatta che hanno appreso tecniche e stile seguendo istinto e vocazione, è la varietà, tesa a restituire la complessità dello scenario culturale, la linea guida di «Africa? Una nuova storia», prima grande esposizione che Roma dedica all’arte contemporanea africana, ospitata al Vittoriano fino al 17 gennaio. Articolato in due sezioni, il percorso prende le mosse dai lavori di autori indicati dalle ambasciate africane per poi entrare nel vivo delle tendenze artistiche con la collezione di Jean Pigozzi, il più grande collezionista del settore. Dai «toys» di legno di Demba Camara alle sculture rituali di Efiaimbelo, dagli intarsi in biro su carta di Gedewon al trittico «Tsunami» di Richard Onyango, circa 80 tra dipinti, sculture, istallazioni e video di trenta artisti dei Paesi Subsahariani, illustrano una nuova immagine - e storia, appunto - dell’Africa, che alla povertà di risorse, su cui spesso si concentra l’attenzione occidentale, oppone la ricchezza spirituale e culturale, portando il continente alla ribalta della scena artistica in una mescolanza di tradizioni reinventate con spunti d’attualità e denuncia. «La povertà ha diverse dimensioni - dice Romuald Hazoumè del Benin, che usa materiali di recupero, trasformando vecchie taniche in istallazioni e maschere -. Siamo artisti poveri, se con ciò si intende non avere denaro. In realtà, siamo molto ricchi».

«Le nostre opere parlano a livello emotivo ma ne andrebbero studiati pure i simboli - spiega Abdoulaye Konate del Mali, in mostra con la grande opera in tessuto Génération Biométrique -. A scuola studiamo i lavori occidentali, occorrerebbe che qui fosse fatto lo stesso con le nostre forme d’arte». Ingresso libero.

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