Vittorio Amedeo II: l’unico Savoia che era una vera volpe

È di attualità in questi giorni anche nella Sua rubrica, di parlare della Sicilia e del Regno di Napoli. Con il trattato di Utrecht, Vittorio Amedeo II duca di Savoia, nel 1713 ottenne anche la Sicilia con il titolo regio. Nel 1718 la scambiò con la Sardegna nella quale prese potere solo nel 1720. Mi chiedo: come mai dopo solo 5 anni lasciò una terra che si dice allora così ricca ed evoluta, per un’isola con caratteristiche senz’altro diverse e inferiori?
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Gran tipo Vittorio Amedeo II, detto il Renard, la Volpe. Fu subito chiamato al cimento perché rimasto orfano se la dovette vedere con l’ambiziosa madre Giovanna Battista, meglio nota come Madama Reale. La reggenza le stava stretta e prima che il figlio raggiungesse la maggiore età le provò tutte per toglierselo di torno e seguitare così a governare il ducato. Tentò persino di rimbambirlo tenendolo occupato con cacce, feste e banchetti che indiceva uno via l’altro con la partecipazione dei più debosciati giovani savoiardi e delle più allegre mademoiselles in circolazione. Non riuscendo a fiaccargli la tempra con quegli intrattenimenti lo offrì in matrimonio alla Infanta del Portogallo, Isabella di Braganza. Con la clausola - capestro, per Vittorio Amedeo - della residenza in terra Lusitana. Pietro I del Portogallo, che nonostante la bellezza indiscussa della figlia non riusciva ad accasarla, ne fu lusingato e inviò subito in Savoia dei gentiluomini con l’incarico di firmare il contratto e tornarsene con il futuro genero. Se non che Vittorio Amedeo - la Volpe - li ricevette a letto, millantando una tremenda, inguaribile e debilitante malattia (che, aggiunsero i cronisti pettegoli, aveva compromesso la potentia coeundi e, di conseguenza, messa grandemente in dubbio quella generandi). Comprensibile quindi il lesto dietrofront dei portoghesi, che non potevano certo presentarsi al cospetto dell’Infanta con quell’impotente rottame appresso. Finalmente, quando l’età glielo concesse Vittorio Amedeo si liberò di mammà e per prima cosa decise di farsi, in un modo o in un altro, re; per seconda, sposò (per poi riempirla di corna) Anna d’Orleans, bellina, diciamo così, e figlia del fratello del Re Sole. Il matrimonio rinsaldò l’amicizia del ducato con la Corte di Francia proprio in un momento di grande subbuglio europeo, ma Vittorio Amedeo era quello che era: infedele per natura alle donne e alle alleanze («I Savoia non terminano mai una guerra sotto la stessa bandiera con cui l’hanno iniziata». Parola di Luigi XIV). Ora non la sto ad annoiare, gentile lettrice, con quello che il nostro eroe combinò, i molteplici cambiamenti di fronte, le tante guerre e le tante riforme cui mise mano. Sono cose che sicuramente conosce per cui veniamo all’epilogo, all’assedio di Torino da parte dei francesi (quello di Pietro Micca, per intenderci, 1706). Sfondando le linee nemiche Vittorio Amedeo conseguì quella vittoria che da tempo inseguiva per poter poi pretendere l’agognata corona reale. E la ottenne: quella di Sicilia che la Spagna, sotto la pressione dell’Inghilterra, gli concedette. Probabilmente se la voleva tenere, l’isola, anche se un po’ troppo distante da Torino e pertanto difficilmente amministrabile. Andò invece che la Spagna volle riprendersela - e se la riprese - lasciandolo a bocca asciutta, ma per poco perché con un’ultima giravolta Vittorio Amedeo si ritrovò alleato della Quadruplice antispagnola e dunque dell’Austria. La quale, cinque anni prima, aveva strappato a Madrid la Sardegna.

Non sapendo cosa farsene e volendo dare un contentino al neo associato, la girò dunque a Vittorio Amedeo che così poté conservare per sé e i suoi discendenti la corona di re. Re di Sardegna, appunto, che rimase il titolo dei Savoia sul trono fino al dì della proclamazione del Regno d’Italia, evento del quale festeggiamo, lieti e spensierati, il centocinquantenario.

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