Cultura e Spettacoli

Vittorio, non mollare: la Biennale devi farla tu

Lettera al curatore che vorrebbe abbandonare il Padiglione Italia in polemica con il ministero: se va via lui torna la vecchia arte

Vittorio, non mollare: 
la Biennale devi farla tu

Caro Vittorio, se è vera la tua intenzione di rinunciare alla curatela del Padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia, ti prego ripensaci. Te lo chiedo non solo in quanto tuo immediato predecessore, che ha ravvisato fin dai tempi della tua nomina da parte di Sandro Bondi un’ulteriore scelta di libertà, uno sguardo anticonformista. Questo potrebbe essere l’ultimo spazio che ci verrà dato prima che ritorni la restaurazione, e con essa quei padiglioni rigidi e frigidi, privi di sensualità e coraggio. Prima, però, ti vorrei rendere partecipe di una personalissima sensazione. Penso che non scorderò mai quelle serate di giugno del 2009, affacciato alla terrazza di Ca’ Giustinian sul Canal Grande, sorseggiando un bicchiere di rosso della produzione riservata del professor Baratta (a proposito, che galantuomo il Presidente della Biennale). Ecco, era come allungare la mano verso il cielo - te lo ricordi Al Pacino in Scarface quando diceva: «il mondo è mio» o una cosa del genere - mentre in basso si perdono i rumori delle invidie e delle critiche. Non c’è niente da fare, puoi girare il pianeta ma la Biennale di Venezia ti regala comunque qualcosa in più. Se mi venisse offerta l’opportunità di riprovarci, caro Vittorio, ci tornerei a nuoto, portandomi giusto la cravatta nera, come James Bond.
Perdonami il sussulto di nostalgia. Tentiamo ora di razionalizzare. Questo Padiglione Italia, Vittorio, lo puoi fare solo tu. Chiunque fosse stato scelto al tuo posto, avrebbe impaginato la mostra fedele alle proprie regole. Qualsiasi curatore sarebbe rientrato nel vortice dei confronti: meglio le due presenze di Ida Gianelli o le venti dei Beatrice? Più attuale la prospettiva internazionalista di Bonami o quella mixata al Genius Loci di Bonito Oliva? A te questi discorsi risultano oziosi, lo so bene. Tu hai deciso di aprire a ciò che non si conosce, evitando di ribadire tautologicamente le tue preferenze. Con la tua illogica follia hai fatto saltare la logica degli schieramenti. Ti sei sottratto al (pre)giudizio cui siamo sottoposti tutti noi critici, coinvolgendo nelle scelte quelli che chiami padri della patria. Così se la prenderanno con Umberto Eco o Ferzan Ozpetek, con Flavio Albanese o Miriam Mafai, con Walter Siti o Ennio Morricone se il loro sguardo, la loro prospettiva, non dovesse corrispondere alla coolness che regna nel palloso mondo dell’arte, fatto di uomini sciatti e signore senza tacchi.
Una mostra inclusiva, dove il pubblico potrà trovare la pittura figurativa classica di Ventrone e Martinelli insieme agli abiti di Marras; l’astrazione storica del centenario Gillo Dorfles e la ceramica dei bravissimi Bertozzi & Casoni; il pop-politico di Veneziano e il neobaconismo di Samorì. Ci saranno le superstar come Cattelan e Pistoletto (che forse non verranno, peggio per loro) e carneadi assoluti che magari non hanno neppure una galleria. La mostra giusta per il 150º anniversario della nostra Italia, un evento capace di oscurare, e non solo a livello mediatico, la Biennale ufficiale della brava e precisa Bice Curiger, dove tutto sarà giusto, tutto sarà corretto ma quanto ci farà vibrare? Senza contare l’altra grande impresa, quella delle Biennali regionali, cui non aveva mai pensato nessuno, e che potrebbe completare la grande festa dell’arte italiana. Persino chi non la pensa come te, come Giancarlo Politi, direttore di Flash Art, mi ha detto al telefono: «Spero che Sgarbi ci ripensi, perché la sua mostra sarà certamente curiosa e sorprendente, probabilmente il vero motivo per cui tutti andremo a Venezia».
Tu ne fai una questione di principio, e chiunque fosse stato al tuo posto si sarebbe infuriato. Il balletto intorno alla tua nomina revocata al polo museale veneziano è una storia che evidenzia un fatto: le stanze del potere del sistema culturale sono occupate da funzionari pubblici e dirigenti ministeriali. Magari ottime persone, capaci a far di conto e a gestire denaro. A loro non si richiede una preparazione specifica sulla materia né un carisma da intellettuale stimato, anzi l’oscurità e l’anonimato suonano da valore aggiunto. Se ai vertici dei principali musei d’arte moderna e contemporanea non ci sono critici o storici ma personale amministrativo promosso per anzianità di servizio, se le università e le accademie si stanno depauperando perché gli ultimi grandi docenti sono andati in pensione e le nuove generazioni non ci credono abbastanza, ritenendo l’insegnamento mestiere di ripiego e sottopagato, riesci ancora a stupirti perché una tua presenza all’interno della Sovrintendenza non avrebbe incontrato l’ostracismo della medietà funzionarile?
Ma tu, Vittorio, vero anticonformista, non puoi mollare il palcoscenico dell’arte per una semplice poltrona.

Mandali in mona, come direbbe un gondoliere, torna a Venezia e regalaci la Biennale delle Biennali.

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