Il vizio (capitale) di dimenticarsi le virgolette

Nonostante il fatto che il pensiero sia ormai indubitabilmente debole, a molti resta il dubbio che almeno il diritto d’autore dovrebbe essere forte. Così, in quella che potremmo ormai chiamare la saga infinita del «copia e incolla» galimbertiano, il giornalismo prende aspetto di filologia. Quella filologia che lo stesso Galimberti ammette non essere nelle sue corde («Amo la bella scrittura e non sono abbastanza filologo...»).
Dopo L’ospite inquietante e Gli equivoci dell’anima, è una serie di articoli di Galimberti sui vizi capitali, apparsa su La Repubblica nell’estate del 2001 a finire sotto il microscopio. Una serie di articoli che, come d’uso, Galimberti ha poi raccolto in volume: I vizi capitali e i nuovi vizi edito da Feltrinelli nel 2003. Sin qui, nulla da dire. Non fosse che il professor Salvatore Natoli pubblicò una rubrica su Avvenire che sempre di vizi (con in aggiunta le virtù) trattava. Si chiamava Altri termini e uscì tra il ’95 e il ’96. Anch’essa raccolta in volume nel ’96 con il titolo Dizionario dei vizi e delle virtù. Editore? Sempre Feltrinelli. Così i due volumi sono confrontabili, affiancabili, con le loro copertine rosse molto simili.
Intervistato da noi ieri, il professor Natoli ci ha spiegato di aver voluto evitare questo confronto: «Mi avevano avvisato, se non ricordo male la prima fu mia sorella... a un certo punto mi ero fatto un piccolo dossier... Poi ho lasciato perdere... come per Gli equivoci dell’anima».
Bene, andando a controllare di nuovo, i conti non tornano. Ci sono tante piccole sbavature. Per fare un esempio: prendendo in esame la voce «Superbia» di Galimberti nella versione originale dell’archivio de La Repubblica si scopre che egli «pesca» abbondantemente dalla voce «Orgoglio» di Natoli. Il quale Natoli viene citato di sfuggita a inizio pezzo. Poi a fine articolo c’è un calco letterale mentre si parla di umiltà che limita: «Quegli impulsi che spingono l’uomo a perseguire cose che non sono alla sua portata, nella rimozione totale dei propri limiti». Niente virgolette. Le virgolette spuntano solo nella versione in volume della Feltrinelli. Capita anche con l’«Invidia»: Natoli è citato a fine pezzo ma ben prima si usa un ampio stralcio rimaneggiato dalla sua «Invidia». E di nuovo il volume Feltrinelli fa ammenda con una nota.
Difficile ricostruire il percorso redazionale che ha portato alla comparsa delle virgolette, delle note. Interventi di editor che conoscevano entrambi i testi, interventi dello stesso Galimberti. L’impressione che si potrebbe avere è che per il pubblico della Repubblica, quello da ammaliare sul colpo con la prosa fluida (che nessuno può negare essere dote di Galimberti), andasse benissimo buttare lì il nome di Natoli e poi andare via dritti usando le sue idee e le sue frasi alla bisogna. Mentre in un libro che può finire in mano a degli specialisti, si cercasse al contrario di sistemare tutto in modo più acconcio.

Forse è un fatto, Vattimo docet, che non dovrebbe far storcere il naso più di tanto. Ma è un fatto che si aggiunge a tanti altri. E in questo caso più che di errori o dimenticanze, resta l’impressione che la presenza o meno delle virgolette sia stata una scelta.

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