Il vizio «sinistro» dell’etichetta

Il vizio «sinistro» dell’etichetta

Federico Guiglia

Secondo il Devoto-Oli super partes, cioè al di sopra delle parti, significherebbe «saggio ed equilibrato, specialmente a proposito di chi è chiamato a giudicare o ricopre una carica che richiede un atteggiamento equanime tra due o più parti». Quel dizionario della nostra lingua fa anche un esempio, uno soltanto ma indicativo, per spiegare al lettore l’espressione latina che va per la maggiore nella politica italiana: «Il presidente della Repubblica». Non altri, come il presidente della (o delle) Camere.
Ora che Romano Prodi ha invece chiarito che il presidente della Camera, alias Pierferdinando Casini, «ha perso in modo irreparabile qualsiasi ruolo di presidente super-partes», bisognerà proporre l’aggiornamento del dizionario. Oppure quello dell’approccio istituzionale del Professore, visto che chi sale al vertice dei due rami del Parlamento non arriva notoriamente da Marte, come l’opinione di Prodi potrebbe far ritenere, ma dal libero voto di parte o delle parti espresso dalla rispettiva Camera d’appartenenza. Ebbene sì, anche i presidenti sono uomini e donne che vedono, che sentono e che parlano. D’altronde, perfino gli alieni ormai provano sentimenti forti e chiari. Neppure nelle altre galassie sarebbe oggi facile trovare degli omini super partes; figurarsi nell’appassionante pianeta Terra e fra le mura della focosa Italia.
Ma tutto ciò non ha minimamente impedito che i comunisti e i socialisti, i democristiani e - più recentemente - i leghisti più tutte le versioni post della seconda Repubblica finiti sullo scranno più alto di Montecitorio, abbiano agito in modo «saggio ed equilibrato», secondo l’onorevole giudizio dei più. A meno che dei presidenti delle Camere si vogliano contestare le idee, anziché la funzione; ma le idee non possono essere «sopra le parti» finché coincidono con le nostre, e precipitare improvvisamente «sotto le parti» nel momento in cui appaiono diverse o molto diverse dalle nostre. È quel che sta succedendo col giovane Pier, per più di quattro anni osannato dall’opposizione di centrosinistra come il super partes da modello, e non solo perché sfilava bello e suadente tra i corridoi di Montecitorio. Lo si contrapponeva polemicamente al Marcello Pera del Senato, lo si indicava come il moderato dei moderati, come l’interlocutore politicamente corretto.
Ma un giorno Casini annunciò al mondo di preferire il sistema proporzionale a quello semi-uninominale in vigore. Mica un evento rivoluzionario: da sempre i democristiani coltivavano quella nostalgia. Semmai era curioso e furioso il contrario, cioè che Casini si fosse per lungo tempo innamorato del maggioritario.
E così l'equivoco è stato smascherato. Finché la scelta di Pier era anomala, totalmente anomala rispetto alla sua stessa tradizione politica «ma» coincideva con la scelta prevalente del centrosinistra, nulla gli rinfacciavano.
Non c’era peccato e non era peccatore. Adesso che Casini ha invece cambiato idea (si badi bene: non casacca, programma politico o atto parlamentare, semplicemente idea), il leader dell’Unione lo bolla come un peccatore addirittura irredimibile («ha perso in modo irreparabile qualsiasi ruolo di presidente super partes»; notare l’«irreparabile» e il «qualsiasi». Non c’è proprio scampo).
Nasce, allora, una nuova e inedita figura del super partes, legata non già al ruolo svolto ma puramente al pensiero annunciato. Pensiero che deve corrispondere in tutto - e non «in parte», ovviamente - a quello «mio», altrimenti ti delegittimo, dipingendoti come persona incapace d’avere un atteggiamento da Devoto-Oli, ossia «saggio ed equilibrato». Il balletto del super partes e con giudice massimo una delle due parti in causa, l’altra. Ma guai a dire che il solo fatto di distribuire e strappare etichette super partes è di per sé l’atto più fazioso che un bipolarismo partigiano potesse inventare.
f.

guiglia@tiscali.it

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