«Voglio Fiandre o Roubaix. Altro che bella vita...»

Ha incominciato la sua “settimana santa” con un sabato di passione. «Ma è sempre meglio sbagliare ad Harelbeke che al Fiandre», dice Filippo Pozzato, campione d’Italia in carica, grande speranza azzurra nelle classiche del nord. È il suo momento, sono le sue corse, quelle che da sempre lo esaltano e lo elevano a protagonista. Pippo è pronto, «il guaio è che non sono il solo ad esserlo», dice laconico, dopo aver corso sabato scorso da protagonista il Gp di Harelbeke, una delle gare più amate dai belgi, che da sempre apre la “settimana santa” del ciclismo, che si concluderà domenica prossima con il Giro delle Fiandre.
Un anno fa Filippo Pozzato, 28 anni, vicentino di Sandrigo con residenza monegasca, ad Harelbeke vinse. Sabato si è dovuto accontentare della quarta piazza, alle spalle di un fenomenale Fabian Cancellara, che a 2 km dal traguardo, in un tratto di strada piatta che più piatta non si può, ha sbriciolato le velleità del padrone di casa Tom Boonen e dello spagnolo Juan Antonio Flecha. «Nella prova generale del Fiandre ­ ci dice il capitano della russa Katusha ­ mi sono fatto sorprendere nel momento clou, quando Boonen è partito deciso sul Paterberg. Poco prima di quello strappo secco, qualcuno mi ha toccato e sono rimasto indietro. Ho reagito, ma era troppo tardi. Anche perché davanti non c’erano tre corridori normali».
Un quarto posto che però dice che la condizione c’è.
«Credo di aver corso una buona Sanremo e ad Harelbeke, una corsa che ho vinto e amo da sempre, ho confermato di stare bene, di essere pronto per il Fiandre di domenica. Però certe corse si vincono non solo con la forza e una buona intelligenza tattica, ma anche e soprattutto con un pizzico di buona sorte».
Resta però da confrontarsi con Boonen, e soprattutto Cancellara...
«Fabian sabato ha fatto un numero dei suoi. Quando sta bene fa davvero paura. A lui basta accelerare, anche in un punto insignificante del percorso, per fare la differenza. Però il Fiandre è una corsa più lunga, più selettiva, più sentita da tutti: la musica cambia».
Lei da sempre è considerato un talento, con una Sanremo in carriera e tante vittorie, mancano però alla sua collezione molte gemme di valore. I suoi detrattori dicono che ama troppo la bella vita: donne, vestiti, macchine e orologi...
«Se amassi solo e soltanto la bella vita non avrei fatto il ciclista, ma semplicemente la bella vita. Cosa posso dire? Niente. Fino a poco tempo fa me la prendevo, adesso non più. Ho solo un modo per mettere a tacere tutti: correre bene e vincere. Io amo la mia professione, il mio sport, soprattutto amo le corse del Belgio, che non sono proprio corse adatte a signorini. In bicicletta amo le cose difficili, non la bella vita. Punto al Fiandre e alla Roubaix, mi piacerebbe un traguardo pesante, da aggiungere alla Sanremo. Non sarà facile, ma so di potercela fare».
È tornato alle corse Riccardo Riccò: è contento?
«Sono contento per lui. Spero solo che da questa brutta esperienza (doping al Cera, 21 mesi di squalifica, ndr) abbia imparato qualcosa. Io sono sincero: faccio parte di quei corridori ­ e sono tantissimi - che lo trovavano tutt’altro che simpatico. È troppo pieno di sé, troppo arrogante. Ma il problema è tutto suo, non nostro».
Cosa non le piace del ciclismo?
«Ci piangiamo troppo addosso. Dovremmo essere più bravi a vendere il nostro prodotto. È vero, in questi anni abbiamo combinato tanti pasticci, ma è anche vero che tanto abbiamo fatto. Ti dico solo una cosa: dopo la Sanremo, io, Boonen e altri nostri colleghi siamo andati a cena tutti assieme a Montecarlo.

Queste cose il ciclismo le fa da sempre, e nessuno lo sa. Invece si parla di terzo tempo nel rugby, di fair-play. Nulla da rimproverare al mondo della palla ovale, la colpa è tutta nostra: non sappiano vendere al meglio il nostro prodotto».

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