Cultura e Spettacoli

Voight: fiero di aver interpretato Wojtyla

Paolo Scotti

da Roma

C’è qualcosa, nello sguardo di Jon Voight, che colpisce. Non è solo la penetrante somiglianza con il modello («Le mie origini sono cecoslovacche: nel volto ho qualcosa dell’Est»). Non è solo il suo essere cattolico, credente, e per questo profondamente preso dal ruolo («Ci ho messo dentro tutte le mie preghiere»). E non è neppure l’amore inatteso, tanto da risultare contagioso, che vi ha riversato («Era come se, rifacendolo, potessi proteggere tutto ciò che aveva fatto lui»). È che parlando di Karol Wojtyla si commuove. Sul serio, per ben due volte. E fino alle lacrime.
«Da quando m’hanno proposto d’interpretarlo a oggi che ho finito, ho continuato a sentirmi in una sorta di stato di grazia - racconta l’attore americano, reso celebre da Un uomo da marciapiede e scelto dalla Lux Vide per Giovanni Paolo II, miniserie sulla vita del papa le cui riprese sono terminate ieri a Roma -. Quindici anni fa lo stesso pontefice fece il mio nome, per interpretare in teatro il suo La bottega dell’orefice. Non potei farlo. Così, oggi, è come se lui mi avesse di nuovo teso la mano». E nel raccontare cosa ha finalmente provato, gli occhi gli diventano lucidi: «Per mesi ho vissuto con la testa come in cielo. Ora sono tornato con i piedi per terra. Sapevo che Giovanni Paolo è un gigante della storia. Così, alla responsabilità che sentivo prima d’affrontare un personaggio importante, si sono aggiunti la paura, l’emozione, la gioia. E ora che ho finito, la fierezza».
Pensato cinque anni fa, «indipendentemente da Karol di Mediaset» (precisa il produttore Luca Bernabei); progettato per andare in onda «non finchè il papa fosse stato vivo, per rispetto nei suoi confronti»; costato 22 milioni di dollari divisi fra Lux, RaiFiction, Cbs e forse sui teleschermi per il primo anniversario della scomparsa - o molto prima: a Natale - Giovanni Paolo II annovera tra le firme dei collaboratori quelle di Navarro Valls e Zsivisc: portavoce e segretario di Wojtyla. «Il loro aiuto è stato prezioso soprattutto per ricostruire gli ultimi sette giorni del papa - rivela Bernabei -. Cioè per raccontare, per la prina volta, ciò che è accaduto dietro quelle finestre di piazza San Pietro, sotto le quali s’era radunato e fermato il mondo intero».
La prima puntata della fiction (in cui il papa fino ai 50 anni è interpretato da Cary Elwes) racconterà la Polonia dell’attore-operaio divenuto cardinale. «Per la seconda parte, invece, abbiamo dovuto scegliere fra gli innumerevoli fatti che hanno scandito 26 anni di pontificato - spiega il regista, John Kent Harrison -. Per farlo abbiamo girato in Italia e Polonia, ricostruito in scala reale parte della Cappella Sistina, la Loggia delle benedizioni, l’intero appartamento papale». E l’emozione ha accompagnato ovunque le riprese: «Molte delle comparse erano polacche - racconta Voight -. E molti erano stati presenti ai fatti reali che ora noi replicavamo.

Così, quando gridavano “viva il papa!”, era come se lo gridassero a lui».

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