Aspirava a diventare un kamikaze in nome dell'Isis e si troverebbe in Siria a combattere per lo Stato islamico. Monsef El Mkhayar, presunto foreign fighter marocchino di 21 anni, ieri è stato rinviato a giudizio dal gup Sofia Fioretta. Il processo comincerà il prossimo 14 dicembre davanti ai giudici della corte d'Assise.
Il giovane Monsef è accusato di terrorismo internazionale ed è destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare emessa nei mesi scorsi. È nato in Marocco ed è arrivato in Italia poco più che bambino. L'indagine della Digos coordinata dal pm Piero Basilone e chiusa a luglio scorso aveva documentato la sua minaccia via Facebook di «farsi esplodere» al ritorno nel nostro Paese. Era emersa la «progressiva radicalizzazione» di Monsef prima in carcere a San Vittore, dove era finito per spaccio, poi nella moschea di via Padova e tramite internet. Il suo compagno di fanatismo era l'amico e connazionale Tarik Aboulala, morto nei mesi scorsi in combattimento in Siria. In un messaggio intercettato, lo stesso Monsef annunciava: «Tarik è morto, era un vero uomo ed è andato in paradiso». I due erano stati affidati nel 2010, da minorenni, alla comunità Kayros di Vimodrone, nel Milanese, e dopo i 18 anni si erano trasferiti in un appartamento a Milano.
I compagni di comunità avevano notato il loro processo di radicalizzazione e avevano preso le distanze. Un terzo ragazzo marocchino era stato preso di mira dai due aspiranti jihadisti.
Gli dicevano che avrebbe dovuto partire anche lui per la Siria e arruolarsi nelle file dell'Isis. Al suo rifiuto («sono cittadino italiano», aveva risposto) lo avevano minacciato in alcuni messaggi di tagliargli la testa una volta rientrati dal fronte.RC
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