«Volevo fermare la partita Non siamo bestie»

Parla Zoro: «Non ne potevo più. Adriano e Martins mi hanno convinto a proseguire. I razzisti odiano lo sport»

nostro inviato a Messina
«Io non sono un animale, noi neri non siamo animali». Firmato Marc Zoro Kpolo, per tutti più semplicemente Zoro, nazionale della Costa d’Avorio, già avversaria nell’ultima amichevole dell’Italia lippiana e titolare nel Messina. E quanto è triste ritrovarsi qui a scrivere di un uomo che si è ritrovato protagonista della domenica per essersi ribellato all’andazzo curvaiolo, a una «logica» ultrà seconda la quale allo stadio puoi ugheggiare al nero, anzi quasi devi farlo per essere degno di appartenere al branco. Zoro fa il giro di tutti i cronisti presenti perché sia ben chiaro a tutti i motivi del suo gesto: «Parlo a tutti perché non vorrei che qualcuno pensasse che volessi fare il personaggio».
Erano appena entrati Martins e Materazzi, il gioco non era ancora ripreso e la si è visto andare verso il quarto uomo, per dirgli cosa?
«Ero sotto la curva dei nerazzurri e quando ho sentito cosa urlavano e dicevano sono andato da lui per dirglielo».
Una furia.
«Sì, non ne potevo proprio più. Non accetto che ci siano persone che fanno della strada per venire in casa mia (lo stadio, ndr) per dirmi quelle cose lì. Questa è casa mia e in casa mia non mi si insulta».
Come si è sentito?
«Mi sono sentito trattato come un animale. Io sono in questa città e in questa squadra per giocare a calcio, come sportivo. Non mi hanno comperato perché faccia l’animale e subisca zitto».
Voleva uscire?
«Sì, l’ho detto al quarto uomo che io avrei lasciato il campo. Lo avevo già detto mentre andavo da lui a quelli dell’Inter che mi stavano vicini».
E loro?
«Adriano, Martins e Materazzi mi dicevano che se avessi abbandonato c’era il rischio che la partita venisse sospesa e rigiocata, che avrei messo in difficoltà loro che non avevano nulla in comune con quelle persone lì».
Poi è rimasto.
«Sì, c’era rischio che invalidassero tutto. Però spero che con il mio gesto quelli come quelli lì abbiano capito che queste cose non si possono fare».
Il presidente Facchetti si è scusato ufficialmente.
«Lo ringrazio, ma in fondo la società interista non ha colpe, è solo che non è giusto che negli stadi noi neri veniamo trattati come animali».
L’ufficio inchieste della federazione ha subito annunciato l’apertura di una inchiesta, Figo ha regalato la sua maglia a Zoro e l’Inter ha apposto la scritta «No al razzismo» sulla home page del suo sito. E poi Mancini durissimo, Facchetti pure, Veron anche. Ha detto Facchetti: «Chiedo ufficialmente scusa a Zoro per quello che gli è accaduto. L’Inter è da sempre impegnata in prima fila nella lotta al razzismo. Dire che sono maleducati è poco, mi sono sentito in imbarazzo per lui. Però non saprei cosa noi possiamo fare di più su questo tema. Contro il Parma abbiamo inaugurato una azione specifica proprio perché tutti i giocatori sono uguali, perché tutti gli uomini sono uguali. Purtroppo succede spesso e mi auguro non succeda più». E poi ha rimarcato Veron: «Ero lontano, ma cambia poco. Così non si deve fare ma è pure sbagliato pensare che sia solo una questione di curva nel calcio. È la vita che è marcia, è il tessuto sociale che è ammalato, non solo gli stadi. Qui è così perché è così anche fuori».


Domani si esprimerà il giudice sportivo, poi seguirà l’inchiesta federale. L’Inter rischia da un’ammenda, immancabile in casi di cori razzisti, alla squalifica del campo con partita a porte chiuse. E ha appena finito di scontare la stessa pena in coppa Campioni.

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