VOLLMANN Diventare famosi scrivendo solamente banalità
12 Aprile 2007 - 03:04Tremila pagine (sette volumi) sulla violenza. Ora esce con un libro sulla povertà. Sceglie sempre il tema giusto per fare polemica. Vende tanto senza dire niente. Qui spiega come...
«Devo sicuramente ringraziare Osama bin Laden per il privilegio che ho di vedere da vivo questa mia opera pubblicata. Più duna persona mi ha consigliato di aggiornarla inserendo riferimenti agli attentati terroristici dell11 settembre 2001. Non minteressa unoperazione di questo tipo... Non ho modificato neppure gli studi monografici, alcuni dei quali relativi a Paesi musulmani (a leggerli con questa consapevolezza, risulterà evidente che attentati di un certo tipo erano prevedibili - e forse evitabili - anche per un osservatore superficiale come il sottoscritto. E posso assicurarvi che andrà di male in peggio)». William Vollmann non è certo scrittore che si faccia problemi a dire le cose come stanno. Almeno secondo lui. In questa introduzione, scritta per l'edizione ridotta di Come unonda che sale e che scende (Mondadori, pagg. 352, euro 22), il suo gigantesco saggio su «violenza, libertà e misure d'emergenza» appena arrivato in libreria anche in Italia, annuncia che nelledizione originale dellopera - sette volumi per un totale di oltre 3000 pagine - erano contenute tutte le prescrizioni necessarie a prevedere lattentato delle Torri.
In effetti, però, giunti coraggiosamente a pagina 832 del volume e al capitolo intitolato con ambizioni onnicomprensive Il mondo islamico, si fatica a credere che la verità sul terrorismo possa essere contenuta nella manciata di regolette enunciate da Vollmann, una delle quali, la «Massima di Trockij», dovrebbe essere più rivelatrice delle altre: «A nessuno che sia in disaccordo con me sarà consentito di giudicarmi». Secondo il suo autore, Come unonda che sale e che scende dovrebbe permettere di analizzare ogni tipo di violenza immaginabile nelle motivazioni che la fondano e che la rendono giustificabile». Vollmann chiama questo procedimento «calcolo morale». Altri, molti, prima e dopo di lui lo hanno chiamato relativismo.
Il saggio è un inventario di violenze collettive, cui possiamo dare a seconda del momento storico e del luogo il nome di guerra, aggressione, abuso dautorità, dittatura, apartheid, catalogate con maniacale perizia, da Cortès a Lincoln, da Buchenwald al Ku Klux Klan, e commentate da una serie di genuine banalità in forma di massima: «La classe è il particolare meccanismo mediante il quale il potere e le risorse vengono distribuiti in modo ineguale allinterno di una società»; «La capacità di commettere violenza è unestensione dellio: la dota non solo di un braccio bensì di tutta una mano. Larma diventa una sorta di arto, un amico»; «Lordine porta al bisogno di uccidere. Idem per il disordine. Negare questa affermazione è negare se stessi». Ecco perché quando pretende di spiegare «perché gli islamici ci odiano», Vollmann risulta stimolante ma inutile, perché usa il trucco di accoppiare domande forti e pensiero debole.
Scrittore, «ex-giornalista prezzolato» (come amava dire di sé un tempo), professore universitario, o semplicemente «curioso», come ci ha giurato che ama ora esser definito quando lo abbiamo intervistato, il californiano William Vollmann è una delle personalità più camaleontiche della nostra epoca. Persino nellaspetto fisico la sua identità si riduce allindescrivibilità: aspetto anonimo e spettinato, equilibrio instabile a causa di una grave frattura pelvica e di una serie di piccoli infarti. Per non dire delle interviste che concede: educate, ironiche, ma così asciutte che linterlocutore si sente implicitamente tacciato di inopportunità. A sentirlo parlare, Vollmann sembra genuinamente convinto che non ci sia alcun motivo per cui i media debbano occuparsi di lui. Eppure non si lascia scappare, e con largo anticipo rispetto ad una potenziale concorrenza intellettuale, ogni tema controverso: dai nativi del Nordamerica ai ribelli musulmani, dallUrss alla povertà universale. Ogni suo libro suscita polemiche, interventi, rumore: Vollmann sa come scegliere il tema giusto al momento giusto e gonfiarne interi volumi.
Classe 1959, Vollmann ha passato gli anni Ottanta e Novanta a San Francisco a studiare le allora neomodalità di convivenza urbana e soprattutto le prostitute, ricavandone il controverso Puttane per la gloria (Mondadori, 1999); ha rischiato la vita nei reportage in Afghanistan e a Sarajevo, dove i suoi due compagni di viaggio sono rimasti uccisi, e ne ha spremuto il succo per Afghanistan Picture Show ovvero come ho salvato il mondo (Alet, 2005); ha pubblicato una raccolta di racconti, Europe Centrale, vincitrice del National Book Award, forse il più prestigioso premio letterario americano, dove in ulteriori 700 pagine «personalizza» il conflitto tra Germania e Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale.
La sua ultima «follia» è stata quella di partire per un giro sulla giostra della povertà: ha ispezionato il mondo alla ricerca dei più miseri e ne ha cavato le 300 pagine e 128 fotografie di Poor People (Ecco Press, pagg. 464, $ 29,95) appena uscito negli Stati Uniti e definito «una serie di osservazioni che non hanno altro obiettivo se non quello di tracciare i confini di un mondo intrattabile e incomprensibile». Che è come dire che il volume è il risultato di unindagine votata al fallimento. O quantomeno lespressione di una sorta di neoterzomondismo scientifico, fatto del distacco e della comprensione propri più duno piscoanalista che di un giornalista.
E la nostra intervista? Eccola, in breve, comè nello stile di Vollmann. Gli abbiamo chiesto come abbia avuto lidea di un libro sui poveri: «Quando vedo la miseria della gente, me ne dispiaccio e vorrei aiutarli». Gli abbiamo chiesto che idea si sia fatto della povertà nel mondo: «I poveri sono persone che hanno meno di me e vorrebbero possedere ciò che ho io». A proposito dell'esperienza con i mujahiddin nel 1982: «Furono coraggiosi e ospitali. Credevo nella loro causa». Tornerebbe in Afghanistan? «Solo se servisse ad aiutare qualcuno. Tornare laggiù sarebbe troppo triste per me oggi». Obiettivo di Come unonda che sale e che scende? «Catalogare le scuse del mondo nei confronti delluso della violenza per giudicare quali di quelle scuse sono valide». Ma la violenza cosè? «Fare del male a qualcuno».
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