Vollmann, scrivere con l’acciaio

«Che cosa fu a mettere in movimento l’acciaio?». Se volete arrivare nel centro pulsante dell’ultimo romanzo di William T. Vollmann Europe central (Mondadori, pagg. 1062, euro 25), oltre a lasciarvi trascinare dai feuilletons divisi in capitoli, dovete fare un passo indietro dalle singole storie e cadere nel baratro della realtà linguistica di cui è composta l’opera, un’opera storica ma simile all’universo, costituito dal novanta per cento di materia oscura. Vollmann è uno scrittore della materia, non per altro anni fa fu organizzato un sorprendente incontro tra William T. Vollmann e Antonio Moresco, altro scrittore del cosmo e del caos.
Sia chiaro, il moltiplicarsi delle voci narranti di Europe central, come il compositore Dmitrij Šostakovic, la pittrice Käthe Kollwitz, la poetessa Anna Achmatova e altri narratori più o meno noti, poco c’entra con la «polifonia» studiata da Bachtin nel suo celebre saggio su Dostoevskij. Vale a dire che I Fratelli Karamazov potrebbe essere stato scritto sia da Ivan che da Mishka, e non si sa per chi parteggi il genio Fëdor come, al contrario, si sa con chi stia la voce narrante di Manzoni ne I promessi sposi, non certo con Don Rodrigo, almeno sulla carta. Invece le voci narranti di Vollmann sono voci a sé, quasi racconti in apparenza chiusi, bozzoli tenuti insieme da un filo esile che solo per gradi rivela la tessitura di un’immane ragnatela che potremmo chiamare: la Storia. Una Storia che, al di sopra dei rivoli delle nostre storie individuali, all’interno dei corpi e dei pensieri, è vivisezionata dallo scrittore con la precisione e la spietatezza di uno scienziato, e dove l’uomo ha il suo posto darwiniano in quanto animale sociale, in perenne lotta con la vita e con la materia che lo annienta.
Così la Seconda Guerra mondiale narrata da Vollmann si solidifica nelle parole e nella materialità degli oggetti come il colore nei quadri degli ostaggi di Jean Fautrier. Gli oggetti diventano estensioni, protesi umane, ciò che un genetista chiamerebbe «fenotipo». Le stesse opere di alcuni personaggi realmente esistiti sono estensioni biologico-biografiche: l’Opus 40 di Dmitri Šostakovic assorbe e incorpora le storie sentimentali della vita del musicista quanto l’espressionismo dei disegni di donne con bambino morto di Käthe Kollwitz contiene tutte le illusioni di giustizia sociale e le disillusioni inespresse della pittrice, perché la Storia è illusione e l’illusione è un compromesso ipocrita con la realtà. In ogni caso è la materia che domina la vita, la vita che riesce o meno a plasmarla ma alla fine perde sempre, la materia è più forte, brutale, e come nell’universo la materia inerte alla lunga vince sempre.
Mentre la pittrice dipinge il dolore dell’uomo, della povera gente, delle classi operaie, in Unione Sovietica si celebra la farsa di una liberazione a cui la Kollowitz farà solo finta di credere. Come nella moglie di Lenin l’idealismo iniziale si asciugherà negli anni e di lei resterà una muta assecondatrice dei processi-farsa staliniani che morirà nel 1939 di arteriosclerosi.
Vollmann, come ogni vero scrittore, è anche un consapevole biologo dell’umanità. La Germania Nazista, l’Unione Sovietica, la guerra civile Spagnola, la svastica e la falce e martello non sono le uniche metafore e gli unici simboli della violenza della Storia, l’orrore si annida nei particolari. Nel telefono, per esempio, attraverso il quale, oltre alle conversazioni della gente comune, partono gli ordini di Hitler (chiamato «il sonnambulo») e i contrordini di Stalin, che muovono l’acciaio, stritolano corpi e storie, mettendo in moto la macchina mortifera. Non dissimile, attenzione, dalla macchina bellica della natura, come sa chi studia zoologia o biologia evolutiva, la «trappola biologica» fatale, come la chiama Vollmann nelle più belle pagine sulla morte di Rising up and Rising down. In «Centrale Europa» (e non Europa Centrale, non espressione geografica ma stazione, quartier generale, centralino di incubi speranze individuali e catastrofi totalitarie) il telefono quindi, in quanto oggetto, si fa subito organismo inquietante, vivo, un’escrescenza organica e viva e che i surrealisti di George Bataille avrebbero etichettato come «perturbante». Un «teschio di bachelite» il telefono tedesco, una «scatola cranica in duro alluminio» il telefono sovietico, in ogni caso un «cervello telefono», dal cui ricevitore fino al «corpo nero e freddo scorre un cavo a spirale la cui elasticità fa venire in mente l’atto di strangolare». Il telefono, «una piovra i cui dieci occhi rotondi, ognuno contrassegnato da un numero, guardano al mondo tramite voi». Anche l’acciaio è vivo, e spinto da forze naturali si anima, in Europe central, e «i potenti sguardi di luce di un Nebelwerfer, che lancia razzi dalla rampa semicingolata, danno forma allo sguardo dell’acciaio, ne segnano la portata», mentre «un altro ordine vola dentro il cavo nero, giù per il filo elastico della spirale, fin dentro l’orecchio». La morte è emoglobina risucchiata dalla terra che pone fine a gioie e amori e speranze e idealismi, lo xilolo è un solvente per leggere i documenti d’identità rinvenuti nella foresta di Katyn, perché «in tale bagno gli inchiostri sbiancati dei cadaveri tornano alla vita». Non solo l’acciaio dei carri armati, c’è anche il metallo delle fedi che si scambiarono Nadeska Krupskaja e Vladimir Lenin, mai ritrovate, e chissà dove sono finite, chissà se, da qualche parte, esistono ancora.
Sono storie vere, queste di Vollmann, perché alla fine non sono storie ma moniti sul potere letale delle cose, dei simboli, delle illusioni e delle stesse parole. Sono parole contro le parole, quelle usate dal genio di Vollmann, che nell’affabulazione mettono in guardia dalla falsità delle parole stesse. «I critici letterari - si legge a un certo punto - perlopiù concordano nell’affermare che la prosa narrativa non si possa ridurre a mera falsità.

I protagonisti ben delineati prendono vita, la pornografia causa orgasmi che l’esistenza sia come la vogliamo potrebbe produrre, con ragionevolezza, la condizione desiderata. Da qui le parabole religiose, il realismo socialista, la propaganda nazista».

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