Il voltafaccia Quando giurava: «Berlusconi mafioso? Falso, parola di papà»

Quante versioni radicalmente diverse nelle parole di Massimo Ciancimino. Il figlio di don Vito ora definisce Silvio Berlusconi una «entità politica» frutto, come anche tutto il partito di Forza Italia, dei presunti accordi tra mafia e Stato dopo le stragi del ’92. Parole messe a verbale nel processo al generale Mario Mori e al colonello Mauro Obinu, accusati di aver favorito la fuga di Provenzano. Parole, queste ultime, che si aggiungono a quei riferimenti a presunti investimenti dell’ex sindaco di Palermo in Milano 2, ovviamente con soldi «targati» Cosa nostra.
Ma tutto questo è in contraddizione con altre dichiarazioni, ossia quelle rese dallo stesso Ciancimino junior appena pochi mesi fa. Intervistato da Gian Marco Chiocci sulle pagine del Giornale, il figlio del primo cittadino mafioso aveva detto cose molto diverse, interessanti da rileggere alla luce di quanto vien fuori ora nell’aula palermitana che ospita il processo a Mori. Tanto che le ha rispolverate lo stesso Niccolò Ghedini a Porta a Porta, per rimarcarne la sostanziale distanza dalle ultime accuse dirette al presidente del Consiglio.
«Io a Silvio Berlusconi mafioso non ci credo - spiegava dunque a settembre Massimo Ciancimino - né papà mi ha mai detto qualcosa a riguardo». Eppure «glielo chiesi tre o quattro volte», assicurava sulle pagine di questo quotidiano Ciancimino. E don Vito? «Rispose sempre allo stesso modo: “È fuori da tutto”», giura il figlio dell’ex sindaco.
Ma come, e Forza Italia «prodotto» di Cosa nostra? All’epoca Ciancimino jr sembrava aver le idee chiare, seppure difformi da quelle propagandate in aula negli ultimi giorni. «Per certo - rispondeva ancora il pentito - so che Berlusconi era piuttosto una vittima della mafia. Forse qualcuno intorno a lui - concedeva continuando - magari del suo più stretto entourage, può aver avuto contatti con Cosa nostra, millantando amicizie e mandati del Cavaliere, muovendosi in suo nome e per suo conto, senza che Berlusconi lo sapesse».
Senza che Berlusconi sapesse. Parole da grande accusatore? Non sembra proprio così. E se anche in autunno il figlio di don Vito lanciava accuse a Dell’Utri («Dico solo che papà non l’ha mai voluto incontrare perché non lo stimava»), persino sul «pizzino» che sarebbe riferito a un progetto di rapire il figlio del Cavaliere, e che per i magistrati costituirebbe la prova dell’interesse della mafia per una delle sue tv, la lettura di quell’intervista del passato prossimo è a dir poco sorprendente.

Il bigliettino «non è nemmeno di Provenzano», ma «la procura sa benissimo di chi è» anche se «io non posso parlare», concludeva Massimo Ciancimino. Che, alla domanda sul perché si puntasse sull’idea che la mafia aveva interesse nei canali tv di Berlusconi, replicava: «E lo chiedete a me? C’è il segreto istruttorio, se parlo commetto un reato e addio indulto».

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