Cinzia Romani
da Roma
Ha quattro volte ventanni Mel Brooks, il celebre regista, produttore, sceneggiatore e attore che, con la sua vena comica sempre fluida, ha firmato classici della commedia quali Mezzogiorno e mezzo di fuoco o Frankenstein junior, facendo ridere platee universali. Nonostante letà e la recente perdita della moglie, lattrice Ann Bancroft, questartista che ha vinto tutti e quattro i prestigiosi premi dedicati ai più eminenti personaggi dello spettacolo (il Tony, lEmmy, il Grammy e lOscar) si presenta in ottima forma. Un qualunque maglioncino da pensionato , che mira alla comodità innanzitutto; la giacca di velluto stazzonata come si conviene a chi non deve apparire più di tanto, eccolo lanciare battute e sorrisi per presentare lultima sua creatura, The producers - Una gaia commedia neonazista (da oggi nelle sale), film diretto da Susan Stroman, asso dei musical a Broadway, qui anche coreografa. Nel cast, oltre ai brillanti Nathan Lane (nei panni dello spiantato produttore Byalistock, seduttore di anziane danarose) e Matthew Broderick (nel ruolo del timido ragionier Bloom, ideatore duna truffa) cè Uma Thurman, al suo esordio come cantante e ballerina alla Ginger Rogers, con gli attillati vestitini della centralinista Ulla. Va da sé che parlare con Mel Brooks è come aver di fronte qualcuno traversato da una lacerante comicità, unica lingua franca in cui lui comunica.
The producers è la resa cinematografica del suo celebre e omonimo musical di scena a Broadway, tratto a sua volta dal film Per favore, non toccate le vecchiette, puro Mel Brooks, vincitore di un Oscar nel 1968. Non è uno straordinario attaccamento allo stesso tema?
«Resto affezionato al mio primo bambino, considerandolo un miracolo. E al concetto dei due ragazzacci che fottono le vecchie signore, pur di fare teatro. Quandero giovane ho conosciuto sul serio un tipo alla Byalistock, il classico produttore col divano sul quale sdraiare le attrici. Una buona storia è una storia di gente che cambia. Qui Byalistock prima è una bestia che salta addosso alle donne, mentre Bloom è un angelo timido. Alla fine, il primo diventa più sensibile e il secondo impara ad esprimere se stesso».
Comè cambiato il mondo dello spettacolo in riferimento ai musical, oggi meno popolari che negli Anni Cinquanta?
«Non si girano più tanti musical, è vero. Da bambino vidi Anything goes di Cole Porter e impazzii: promisi a me stesso che avrei scritto anchio canzoni fantastiche. Ero bruco, volevo diventare farfalla! Da ragazzino mi piacevano Cantando sotto la pioggia e le musiche di Irving Berlin e George Gershwin. Il pubblico ama il genere. Vuol ridere. Mi piacerebbe un Iraq Follies, ambientato nella Casa Bianca, con Condi Rice che si rivolge a Bush e chiede: Perché mai siamo andati in Iraq? e lui, che girandosi verso Dick Cheney ripete: Già, perché mai ci siamo andati?. È ora che i cineasti giovani si prendano gioco dei leaders».
Ha avuto noie per la sua ridicolizzazione di Hitler, qui un gay che canta Heil a me?
«Hitler è personaggio troppo magnetico: metterlo alla berlina è lunico modo per presentarlo. Il film va benissimo a Tel Aviv. Come anche tra Berlino e Francoforte. Ma Monaco di Baviera, sfortunatamente, è ancora in Germania e... più ci avviciniamo allAustria, più cambia la sensibilità tedesca. Anche Benigni è stato coraggioso. Da ebreo, non avrei avuto il coraggio di entrare in un lager. Il mio regista italiano preferito resta il De Sica di Miracolo a Milano e Ladri di biciclette. Che, poi, il nostro Gene Wilder è come Alberto Sordi! Con il seno procace di Sofia Loren ne Loro di Napoli, invece, son diventato uomo».
In tema di procacità: finalmente si vede la Thurman, fuori dal ruolo di atleta delle arti marziali, come in Kill Bill.
«Fantastico: in dieci giorni ha imparato a cantare e a ballare da professionista. Io, piccolo ebreo di Brooklyn, quando ho visto Uma, ho preso subito lattrezzatura per arrampicarmici. Con quelle belle gambe, lavrei scritturata comunque».
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