da Milano
«Domenica sera a Bergamo è stato un trionfo, e non cerano terroni come me tra il pubblico. Non volevano che me ne andassi dal palcoscenico. E anche a Torino, dove ero già stato recentemente, mi hanno fatto una grande festa». Tra jazz, humour e canzoni napoletane il comandante Arbore guida Gegè Telesforo e i 15 compari dellOrchestra Italiana alla conquista del Nord. Buona musica e divertimento, più limpeccabile classe e la gustosa ironia del maestro e il gioco è fatto. Tutti presi in un vortice di ritmo, melodia e colori che ondeggiano dal Vomero a New Orleans e viceversa. Stasera tocca a Milano, Teatro degli Arcimboldi straesaurito come da copione. Arbore come antidoto al razzismo? «Che cè da meravigliarsi - ridacchia il maestro -, lOrchestra Italiana dopo 16 anni di attività ormai è radicata il tutto il mondo. Comunque ho toccato con mano che esistono molti luoghi comuni sul razzismo. A Bergamo ad esempio gli extracomunitari sono integrati e benvoluti».
Ormai fa ballare tutti a tutte le latitudini.
«Se è vero che io sono molto meridionale, è anche vero che il pubblico del Nord è stato il primo a capire il mio linguaggio e ad apprezzare le mie cose: da Bandiera gialla a Per voi giovani a personaggi come Benigni che lanciai come macchietta del critico cinematografico a Laltra domenica».
La canzone napoletana è un grimaldello per girare il mondo.
«La canzone dautore napoletana è un marchio doc della cultura italiana nel mondo. È caratteristica come il blues, come il samba. Ha unenergia contagiosa che non può lasciare indifferenti. Poi se la condisci con un pizzico di swing, di soul e di improvvisazione ti travolge. Per questo ha sfondato anche in Cina».
La ricetta del successo?
«Bisogna vedere lo spettacolo per capirlo. Soprattutto è molto vario, sembra di assistere a tanti show differenti. Ci sono i classici come Maruzzella e Malafemmena, cè la performance soul e rhythm and blues di Gegè Telesforo, ci sono i miei successi come Il clarinetto e Il materasso, la toccante performance dei mandolinisti che fa da contraltare ai ritmi del jazz. È uno spettacolo in cui metto tutta il mio entusiasmo e la mia esperienza. Io sono sincero. Vado senza rete e senza fare calcoli; non salgo sul palco per vendere dischi come fanno molti artisti. Non eseguo neppure Meno siamo meglio stiamo, il mio pezzo più recente, anche se vengono sotto il palco a chiedermelo».
Meno siamo meglio stiamo è sempre il suo nuovo motto?
«Dipende dalle occasioni. A Roma nel 2005 suonai davanti a più di 100mila persone. Sogno di esibirmi un giorno a Milano in piazza Duomo, anche con la nebbia. Ma per ora dico meglio un teatro pieno che uno stadio semivuoto».
Se potesse portare sul palco qualche grande del passato chi vorrebbe accanto a sé?
«Dovrei fare una lista della spesa. Ellington, Armstrong... Ma siccome oggi siamo a Milano vorrei qui con me Giovanni DAnzi, un grande dimenticato. È conosciuto nel mondo per O mia bela Madunina ma ha scritto brani splendidi come Ma lamore no, Non dimenticar le mie parole, Abbassa la tua radio che i jazzisti riprendono spesso. Se li avesse scritti Gershwin sarebbero famosi in tutto il mondo, ma vengono dallItalia.
«Vorrei con me Gaber e il maestro DAnzi»
Lo showman stasera agli Arcimboldi dopo il trionfo a Bergamo. «Lautore della Madunina era il nostro Gershwin»
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