Wall Street scivola ancora sulla crisi

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da Milano

Questa volta, il meccanismo si è inceppato. A un ulteriore calo dei prezzi del petrolio, a quota 112 dollari il barile, non ha fatto seguito un rialzo di Wall Street. Colpa di Freddie Mac e Fannie Mae, i cui titoli sono scesi ieri fino al 18% dopo un articolo di Barron’s secondo cui le due agenzie parastatali, che riassicurano oltre 5mila miliardi di dollari di mutui Usa, dovranno far ricorso all’aiuto del Tesoro non essendo in grado di raccogliere i capitali necessari per la propria sopravvivenza.
Per la Borsa di New York (meno 1,49% il Dow Jones, meno 1,45% il Nasdaq) si è trattato di una vera doccia fredda, anche se il Tesoro ha ribadito di non voler utilizzare i poteri previsti dal piano messo a punto dal segretario, Hank Paulson. Alcuni calcoli del Comptroller Budget Office hanno comunque stimato in 25 miliardi di dollari in due anni il costo che i contribuenti dovrebbero sostenere se fosse necessario salvare i due colossi.
La cifra spaventa, ma, in ogni caso, le difficoltà di Freddie e Fannie sembrano indicare che la crisi del credito rimane un rompicapo di difficile soluzione, in cui ancora molti sono i tasselli fuori posto. Perdite e svalutazioni rischiano infatti di restare la nota dominante anche nel terzo trimestre; l’unica incognita è relativa al loro ammontare. Gli analisti di Fox-Pit prevedono per esempio per Lehman Brothers un rosso di 1,8 miliardi tra luglio e settembre, a fronte di write off per 3,6 miliardi, mentre Merrill Lynch calca ancor più la mano mettendo in conto 2,6 miliardi di perdite e svalutazioni pari a 4,5 miliardi. A corto di liquidi, Lehman avrebbe intavolato trattative per cedere attività immobiliari, commerciali e titoli.
Non solo. La scorsa settimana JP Morgan e American International Group hanno preso in prestito circa 20 miliardi di dollari in nuovi debiti a lungo termine, pagando alcuni dei più alti interessi mai registrati. Una mossa che secondo il Financial Times avrà ricadute sui profitti, visto che le banche contano spesso sullo spread tra i tassi di interesse pagati sul denaro preso a prestito e quelli praticati ai clienti. Nonostante una situazione così precaria, continua l’arretramento dell’euro nei confronti del dollaro. La perdita dell’8% dalla metà di luglio e il progressivo allontanarsi dal picco di quasi 1,60 dollari fino a scendere ieri sotto quota 1,47 (1,4673 il minimo di seduta), vengono posti in correlazione con i minori rischi di recessione che sembra ora correre l’America rispetto a Eurolandia.
L’andamento del secondo trimestre della euro zona (meno 0,2%) ha confermato le difficoltà in cui si dibattono Italia (meno 0,3%), Francia (meno 0,3%) e Germania (meno 0,5%), ovvero le tre maggiori economie dell’area. Al termine di un vertice straordinario convocato ieri, Parigi ha ammesso la necessità di rivedere le stime, entro il prossimo autunno, sull’espansione del Pil nel 2008 attualmente fissate tra l’1,7 e il 2%. In Germania, l’istituto Diw ha reso noto che il Paese eviterà di scivolare in una recessione tecnica (due trimestri consecutivi di crescita negativa) solo grazie ai servizi, comparto che dovrebbe mantenere il Pil tra luglio e settembre appena al di sopra la linea di galleggiamento (più 0,1%). «Riusciremo comunque a raggiungere la crescita dell’1,7% che abbiamo previsto per quest’anno», ha dichiarato il ministro dell’Economia, Michael Glos. Non sarà facile.

Anche perché il livello di fiducia dei tedeschi nell’economia appare molto basso. Questo pessimismo potrebbe trovare riscontro oggi dopo la diffusione dell’indice Zew, con cui viene misurato il grado di fiducia degli investitori. Le attese convergono su un dato fortemente negativo in agosto.

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