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Walter cerca di sfuggire alla mantide ulivista

Caro Granzotto, abbia la cortesia di non rispondermi, come le piace fare, che lei di politica non se ne intende proprio, ammissione del tutto opinabile a mio modesto parere, e mi chiarisca un dubbio: stante che Berlusconi vuole andare al più presto alle elezioni in parte per liberare il Paese da Prodi e in parte perché tutti i sondaggi lo danno in netto vantaggio, a quale titolo le vorrebbe anche Veltroni, come leggo e sento in televisione? Che utile potrebbe trarne in un momento come questo e come potrebbe giustificarle se la conditio sine qua non è che contribuisca con una delle sue spalle a far cadere Prodi?


Ha presente la mantide, caro Colletti? In particolare la consuetudine della mantide femmina di sgranocchiarsi il maschio mangiandoselo vivo nel corso dell’accoppiamento? Boccone dopo boccone, piano piano? Bè, sappia che a questa immagine mi rimanda la vecchia nomenklatura ulivista alle prese con Walter Veltroni. Con mosse da manuale che nemmeno Rommel, pur sempre la Volpe del deserto, avrebbe pianificato meglio, Veltroni non solo è riuscito ad incoronarsi segretario del Piddì, ma anche a modellarne i vertici a piacer suo («una compagine di donne e uomini innovativa, fresca, aperta e autorevole», kennedianamente s’è premurato di definirla. In pratica, tutta gente sua. Pretoriani e pretoriane). L’ha fregata, la nomenklatura, sul tempo, sulla velocità di iniziativa e di decisione. Lasciandola sempre una spanna dietro, col fiato corto. Ora, però, esauriti i riti - primarie, incoronazione, marcia trionfale - quelli si son fatti sotto, hanno ripreso fiato e, come mantidi, incominciato a sgranocchiare. Vittima dell’ultima sgranocchiata è stato il fiore all’occhiello di Veltroni, la quotona rosa da lui colta fior da fiore per esser poi posta a capo delle segreterie provinciali. Colpo che se andato a segno avrebbe tagliato l’erba sotto ai piedi della ex dirigenza, ben intenzionata a mantenere quel che si dice il controllo sul territorio. Ma non c’è andato, a segno. E Veltroni ha dovuto abbozzare, lasciando che buona parte delle poltrone periferiche se le spartissero la Vecchia Guardia diessina e margheritina.
Veltroni non è nato ieri, nossignore. E sa dunque bene, benissimo, che solo con l’azione, il movimento, riesce a scrollarseli di dosso, gli ex. Sa che la surplace gli sarebbe catastrofica perché lì, fermo, assaggino dopo assaggino, morso dopo morso, quei marpioni finirebbero, appunto, per mangiarselo vivo. Ergo, gli servono le elezioni, e con quelle la mobilitazione, l’impegno, lo spirito di bandiera e il cuore oltre l’ostacolo. Gli serve il clima da campagna elettorale e la campagna medesima, gli serve, in sostanza, che le mantidi abbiano altro da fare che non affondare i denti nella sua metaforica polpa. Se poi dovesse vincerle, le elezioni, diventerebbe invulnerabile, troppo coriaceo per essere sgranocchiato. Se invece dovesse perderle - e le perderebbe senz’altro con l’onore delle armi, meglio subito dimenticare i «cappotti» - potrà contare su un lungo periodo di non belligeranza, com’è consuetudine allorché si è impegnati a leccarsi le ferite.

Così la vedo io, caro Colletti, ma prenda questa interpretazione dei fatti con le molle: quando dico che di politica poco me ne intendo non sto a menare il can per l’aia, sa? Però, lo ammetto, di mantidi me ne intendo abbastanza.

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