Una ciocca di capelli bianchi in mezzo alla fronte, ricordo della morte che ti passa accanto, ti prende la mano e da quella mano scivoli per terra, vivo. Era un giovane ufficiale del battaglione alpini «Gemona», Walter Jonna, e quel giorno in Russia, ferito seriamente nei pressi di Nikolajewka, fu preso dai russi con altri disgraziati e messo contro il muro di un'isba di legno, e via, fucilato. Non si reggeva in piedi e fu la sua salvezza. Cadde nella neve, e sopra i corpi dei suoi compagni di sventura, morti. È stata questa la prima volta di Walter. Nel senso che fu fucilato di nuovo, ma nel 1945. In mezzo, tutta la guerra che va in malora, l'Italia che si dissolve, regnanti e ammiragli che fuggono, la flotta che sfila intatta sotto le mura di Malta. La scelta di Walter Jonna, lui che veniva dalla Scuola di mistica fascista di Niccolò Giani, lui già reduce dal fronte con una ferita ancora fresca e una fucilazione finita bene, è istintiva: non cambia bandiera, per rispetto dei suoi morti, della sua terra, di se stesso. L'alternativa tra passare agli americani o prigionieri dei tedeschi c'è, e si trova a La Spezia. Laggiù, il principe Borghese non ci sta e tiene ben alto il tricolore, con un buco in mezzo, dove prima c'era lo stemma sabaudo. A tanti, giovani e no, la cosa piace. Si tratta - come ci ricorda il titolo del suo libro di memorie - di inseguire un sogno. La X MAS nasce da una disobbedienza di fondo. Basta con la casta dei capi, basta con i vigliacchi che hanno barattato la dignità per un pugno di lenticchie. È da qui, dalla caserma del Muggiano che Walter si rimette in gioco, giunto in stampelle da Milano. L'abbraccio del Comandante Borghese è il sigillo di una vita intera. Da La Spezia si dipanano le memorie tormentate degli ultimi tempi di guerra, che giungono fatalmente all'aprile del 1945. Stavolta sono gli insorti milanesi di piazza Sicilia a metterlo al muro. Jonna assiste impotente alla morte di tanti innocenti, tra questi l'ex-direttore del quotidiano fascista «Il Popolo d' Italia» che si comportò con estremo coraggio, gridando «viva Mussolini». È profondamente colpito dallo spettacolo dei milanesi in visibilio per l'arrivo degli americani. Dopo la frettolosa condanna a morte, il prete-partigiano che lo sta confessando (Don Angelo Recalcati) diventerà in seguito il suo migliore amico. Il plotone d'esecuzione, composto da militari della Finanza, si rifiuta in extremis di aprire il fuoco. La morte molla la presa una seconda volta, Walter riuscirà poi a sottrarsi alle attenzioni dei partigiani: era mezzogiorno, siamo pur sempre in Italia e le sentinelle erano andate un attimo a mangiare un boccone! Per il ragazzo con la ciocca bianca in mezzo alla fronte, la vita, la pace, tornano a sorridere.
Giunto alla seconda edizione, «Inseguendo un sogno - Noi i ragazzi della X» di Walter Jonna, (Edizioni Ritter, pagine 255, Euro 24,00), ripercorre la storia della «generazione che non si è arresa», quella che fu di Niccolo Giani, e poi di J.V.Borghese, del comandante Buttazzoni e di tanti altri giovani volontari come lui, molti dei quali, scampati alla vendetta antifascista, ritroverà nel neonato Msi: Almirante, Pisanò, Mieville, Servello, Tom Ponzi, il direttore del «Borghese» Mario Tedeschi. Una generazione mai sufficientemente capita, studiata, letta.
Non distanti per contesto storico i ricordi di guerra di un altro reduce della Repubblica di Mussolini, il marò Giancarlo Leonardi. Solo, in una bella casa del centro di Milano, dove ha trovato scampo grazie alla generosità di un musicista ebreo amico di famiglia, il giovane Leonardi ha tutto il tempo per riflettere sulle sue esperienze già dagli ultimi giorni di aprile del 1945. Fuori si spara, si cercano gli ultimi fascisti da uccidere, ma il pensiero torna all'8 settembre del 1943, alla guerra giunta sulla porta di casa. Come migliaia di coetanei sceglie di non sottrarsi al suo dovere di soldato, sceglie di militare sotto la bandiera perdente. Nelle memorie Leonardi non si nasconde, non evita di ricordare la solitudine, lo stomaco stretto dall'isolamento che circonda gli ultimi soldati in grigioverde, la durezza dell'addestramento impartito dai tedeschi. C'è disincanto, nei ricordi indelebili di un ragazzo cresciuto troppo in fretta. Mussolini, Graziani, il fascismo, sono miti sbiaditi, lontani. Per i soldati della «San Marco» è già una fortuna poter avere un fucile in mano, poterlo adoperare per difendere una patria che ormai è soltanto un concetto astratto, visto che da tempo i suoi cittadini hanno voltato le spalle ai propri ragazzi. C'è tanta Liguria nelle pagine del giovane marò, poiché la Divisione «San Marco» fu schierata nella riviera di Ponente, con episodi che hanno per teatro Alassio, Finale, Cairo Montenotte, Piana Crixia, ma anche Chiavari, Genova, l'Aurelia e la Camionale dei Giovi. Il battaglione di Leonardi (detto «Battaglione Uccelli» dal nome del suo comandante) sarà poi destinato al fronte in Garfagnana, dove si distinguerà nei combattimenti contro gli americani, al fianco dei reparti delle divisioni «Monterosa» e «Italia». Tra i tanti suoi compagni di lotta, i genovesi Pazzini e Bozzi, ampiamente citati nelle pagine di «Senza patria - Con la San Marco in Liguria e sulla Linea Gotica» (Edizioni Associazione Culturale Italia, pagine 147, Euro 19,00), la cruda e ben scritta descrizione della reale atmosfera nella quale si trovarono a dover combattere i giovani soldati della Rsi, schiacciati da un nemico strapotente, guardati con diffidenza dai tedeschi, odiati da buona parte della popolazione, colpiti alle spalle dai partigiani, visti con distacco irreale persino dai fascisti più fanatici.
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