Walter in pressing sul controllo della Rai ma il Cavaliere frena

da Roma

Era la pratica più urgente sul tavolo del colloquio. Non quella «prioritaria», tengono a precisare dal Pd, dove si rendono conto che l’argomento non è esattamente popolarissimo, perché le priorità sono ovviamente le riforme elettorali ed istituzionali.
Ma il dossier Rai era in cima all’agenda di Veltroni, e il leader dell’opposizione ha posto la questione senza giri di parole, avanzando una richiesta precisa: non affrettare il rinnovo del Cda, che giunge ora a scadenza, ma lasciare congelato lo statu quo (nel quale comunque «siete ancora voi del centrodestra ad avere la maggioranza, dopo il reintegro di Petroni») e trovare un accordo sulle nuove regole di governance. Partendo dal ddl Gentiloni, che prevede il passaggio del controllo dal Tesoro ad una Fondazione che nomini un amministratore delegato, e toglie di mezzo la lottizzazione dei vertici da parte del Parlamento.
Berlusconi ha convenuto con il suo ospite che con le attuali regole la Rai rischia «la paralisi», in una situazione in cui nessuno riesce a guidare un’azienda elefantiaca e in crisi. Ma la sua risposta è rimasta interlocutoria: «La questione esiste, dobbiamo parlarne».
Il problema, spiega un alto dirigente del Pd, è che «Berlusconi non vuole avviare il dialogo sulle riforme chiudendo la porta in faccia sulla Rai, e sa che su un “no” secco si rischia di rompere. Quindi non vuole dire no, ma non può dire neanche sì». Colpa dei suoi alleati, dicono dal loft: «An e Lega lo pressano perché si arrivi subito al rinnovo del Cda, per ristabilire il controllo del centrodestra all’interno del servizio pubblico». Nel Pd sono convinti che il premier non abbia alcuna voglia di accelerare una nuova lottizzazione della Rai, ma deve fare i conti con gli appetiti dei suoi compagni di strada. E quindi prende tempo. Il tempo però è poco, e Veltroni ha messo in chiaro di considerare la questione fondamentale. I suoi confidano una «grande preoccupazione per la forte egemonia culturale» che il centrodestra sarebbe riuscito a instaurare. E che non si esercita tanto attraverso il controllo dei Tg, come faceva notare Franco Marini l’altro giorno al coordinamento del Pd: «Non è un “panino” nei telegiornali che porta voti: Lusetti era in tv tutte le sere, e credete che ci abbia portato voti? No». Bensì attraverso la «produzione culturale» di massa di cui la Rai è il principale produttore. «Vorremmo passare dalla tv delle fiction e dei reality a quella degli approfondimenti, dell’informazione e del dibattito», dicono i veltroniani.


Anche se la prospettiva immediata che più allarma, confessano, è quella di Tg «normalizzati» che ogni sera cantano le lodi del governo, mentre Santoro spara da sinistra un giorno sì e l’altro no a colpi di Travaglio, Grillo e Di Pietro. «Arrivare così alle Europee del 2009 sarebbe un suicidio».

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