Walter teme la resa dei conti: non mi spedirete in Africa

Il segretario lancia segnali preoccupati e avverte: "Guai a tornare indietro sul rinnovamento. Il futuro non può essere il passato"

Walter teme la resa dei conti: non mi spedirete in Africa

da Roma

A Roma si aprono le urne, e nel Pd di Walter Veltroni parte la chiamata alle armi. Dopo alcuni giorni di «letargia» post-elettorale (l’accusa è di un suo fan in partibus infidelium, Giuliano Ferrara), il leader del Pd prova a dare una scossa al partito, e ad avvertire amici e compagni che non ci starà a fare il capro espiatorio e a subire commissariamenti e rese dei conti. Lo fa alla vigilia di appuntamenti interni cruciali: domani ufficio politico (caminetto dei maggiorenti) e assemblea dei gruppi parlamentari, che dovrà discutere dei futuri capigruppo. In campo c’è la candidatura pesante di Bersani, che cerca di smarcarsi dall’etichetta di «dalemiano»: «Ma quali cordate, lasciamole ad Alitalia», dice. Ma Veltroni non ci sta. I suoi sono chiari: «Bersani sa che quello di D’Alema è un abbraccio mortale, perchè la nuova base parlamentare non ne vuol più sapere di correnti. Ma non basta smarcarsi: la sua candidatura è letta come una mossa contro il segretario. E se si vuole andare allo scontro noi siamo pronti a contarci». Veltroni esplicita il suo tentativo di mediazione: congelamento di Finocchiaro e Soro fino alle Europee, poi si «ridiscuterà». E conta sul fatto che il fronte dalemiano è spaccato: Anna Finocchiaro vuole la riconferma e Fassino gioca in proprio, da aspirante candidato. E’ presto per capire come finirà, e non si può prescindere dai risultati di Roma.
Intanto Veltroni e Bettini avvertono: «Guai a tornare indietro». Perchè «l’ultima cosa da fare è pensare che il futuro sia un ritorno al passato», dice il leader. Il suo Pd non è «un partito di sinistra camuffato». Ed esiste «una nuova generazione di dirigenti che deve assumere responsabilità di primo livello», e che non può «essere soffocata da un gruppo dirigente indisponibile a questa operazione di rinnovamento». E l’intervista di Veltroni all’Unità è un chiaro messaggio interno del suo partito, soprattutto all’apparato dalemiano, alla vigilia di un ballottaggio che rischia di essere esiziale per la sua leadership. Ma lui nega: «Sarebbe vero se fossi stato candidato sindaco». Se sconfitta sarà, il loft è intenzionato a «tenere botta», come annuncia Bettini.
Veltroni non ci sta a farsi mandare in Africa, come gli preconizza Berlusconi («Ma non rispondo alle battute da bar», dice lui) e come nel fondo del suo cuore spera qualche big. Che il segretario ce l’abbia innanzitutto con la linea incarnata da D’Alema trapela non solo da quell’invito rivolto agli stati maggiori Pd: «Meno gruppi di potere, meno presunzione, meno autoreferenzialità», ma anche dall’attacco esplicito contro il quotidiano diretto da Antonio Polito, il Riformista: «Vende 2000 copie e fa la spiega a noi che abbiamo preso 12 milioni di voti? Pensi a vendere di più...». E proprio dalle colonne del Riformista risponde per le rime al dalemianissimo Roberto Gualtieri, che smentiva le illusioni «consolatorie» di Veltroni sul risultato del Pd («fragile»), e soprattutto invitava ad un cambio di strategia di opposizione: invece di «privilegiare il dialogo con Berlusconi per consolidare il bipartitismo coatto», meglio costruire «un asse privilegiato con Casini (ma anche con la Lega) per favorire una maggiore articolazione del sistema politico e costruire un blocco alternativo al centrodestra e capace di intaccarne la constituency». Perfetta sintesi della strategia dalemiana, che Bettini si incarica di liquidare: sarebbe ora di «spazzare via ogni illusione» che le risposte si costruiscano «attraverso la manovra politica», perché si è visto come è andata a finire a stare appresso a D’Alema: «Coalizioni infinite e sfarinate, tatticismi sapienti, furbizie mirabolanti», e Berlusconi trionfante.


Segue chiamata alle armi, appunto: ieri era tutto un fiorire di dichiarazioni di sostegno alla linea da parte di dirigenti della leva veltroniana: da Martella a Orlando, da Nicolais a Vitali. Ma la battaglia vera deve ancora iniziare.

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