Politica

LA WATERLOO

«Una débâcle», «una Waterloo»: così sono state sintetizzate da Marco Politi, su Repubblica di ieri, le conseguenze delle parole pronunciate dal Papa a Ratisbona. E s’intende che in questa diagnosi lo sconfitto - anzi più che sconfitto sgominato - è Benedetto XVI. Colpevole d’aver offeso l’Islam a tal punto che in Somalia gli estremisti di Allah si sono sentiti legittimati ad assassinare un’anziana suora italiana, e i terroristi di Al Qaida hanno più o meno annunciato che abbevereranno i loro cavalli alle fontane di piazza San Pietro. Non un guerrigliero invasato ma la guida suprema, spirituale e politica dell’Iran, l’ayatollah Khamenei, ha dal canto suo affermato che le frasi del Papa sono l’«ultimo anello» della crociata di americani e sionisti contro l’Islam. C’è di che preoccuparsi, e molto. Viene minacciata addirittura la presa di Roma ad opera delle milizie issanti i vessilli del Profeta. Scorre il sangue d’una missionaria. E infatti dalle parti dell’Italia e dell’Europa c’è chi si dice non solo preoccupato ma angosciato: anche a sinistra, anche negli ambienti del laicismo doc e chic. Angosciato per la virulenza degli attacchi all’Occidente, alla sua religione e all’uomo che la personifica? Nemmeno per sogno. L’angoscia è per l’imperdonabile imprudenza di Joseph Ratzinger che ha osato esporre in una sede universitaria le sue idee di teologo, magari convinto che il Cristianesimo sia la fede più tollerante e umana e che, diversamente dall’Islam radicale, non covi alcun proposito di guerra Santa nei confronti degli infedeli. Ha osato troppo Joseph Ratzinger? Pare proprio di sì. Pare che sia sconveniente, per il capo d’una religione, il ritenerla migliore delle altre.
Viene riconosciuto a mezza bocca che le reazioni di pulpito e di piazza, in alcuni Paesi islamici, hanno superato ogni limite di ragionevolezza: e dato evidente dimostrazione di quanto vi sia fanatica, assolutista, contraria ad ogni libertà la concezione islamica della vita pubblica. Si obbietterà che il Papa non è un teologo qualsiasi, ha un ruolo unico. Ma imperversano in Occidente i dibattiti su questioni etiche che s’intrecciano profondamente alle convinzioni religiose, e nei dibattiti s’inserisce anche la voce del Pontefice. Questo lo riteniamo non solo logico ma utile. E tuttavia in nome del dialogo tra le religioni tutti, a cominciare proprio dal Papa, dovremmo tapparci la bocca se il discorso riguarda Cristianesimo e Islam. Non sono neocon né teocon, ma appunto per questo non ritengo che vi siano argomenti tabù (sempre che vengano trattati con rispetto).
Gli islamici credono invece che vi siano argomenti - tanti, tantissimi - intoccabili. Questa è la differenza. Trovo abbastanza singolare che il Presidente francese Chirac ci abbia esortato genericamente - ma in sostanza ha esortato il Papa - a un uso più diplomatico delle parole. Il che, se proprio non è un’esortazione all’autocensura, le somiglia molto. Trovo egualmente singolare che papa Ratzinger abbia avvertito la necessità di esprimere rammarico, ossia di scusarsi. Non ho davvero la pretesa di spiegare al Papa come deve fare il Papa, ma la sua marcia indietro mi è sembrata una concessione alle pressioni per il dialogo che nella curia e fuori dalla curia vengono esercitate. Sarebbe ampiamente bastata, secondo me, una spiegazione come quella offerta ieri dal cardinale Camillo Ruini. Secondo il cardinale troppi, in Italia e all’estero, «attribuiscono al Santo Padre responsabilità che assolutamente non ha o errori che non ha commesso». Troppo poco senza dubbio per chi in Occidente punta contro il Papa l’indice accusatorio. Altro che errori.

Una débâcle, una Waterloo.

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