Gentile direttore,
dopo aver rilasciato un’intervista a Michele Anselmi sul suo quotidiano il 10 aprile scorso sul tema della pirateria audiovisiva, sento l’esigenza di tornare un attimo sull’argomento dopo aver letto alcuni commenti alle mie parole sul sito on line del Giornale. Premesso che ognuno ha il sacrosanto diritto di approvare o di non approvare un pensiero circa le misure da adottare contro il furto di opere audiovisive, quello che mi ha particolarmente colpito è che molti hanno interpretato questo mio grido di allarme come un personale danno, come una personale perdita di introiti nella percentuale degli incassi o nella vendita dei dvd. Francamente se ci fosse da parte mia questa preoccupazione sarei un miserabile e non degno di avvicinarmi a questo serio e devastante problema. Vorrei spiegare, con pacatezza, a coloro che sono intervenuti nel commento che personalmente nei miei contratti non esiste alcuna percentuale nel fatturato dei miei film e che se mi espongo tanto nell’argomento «pirateria» è solo perché percepisco, insieme a tanti colleghi, distributori, esercenti, operatori dell’home video e ben 250.000 lavoratori dello spettacolo che siamo vicino al baratro. Ma sarebbe più giusto dire che anche voi siete vicini al baratro.
Quante altre sale vogliamo veder chiudere? Quanti altri centri dell’audiovisivo dovranno cambiare destinazione d’uso? Quanti lavoratori del settore vogliamo vedere disoccupati? Io vorrei che rifletteste su alcune considerazioni: secondo recenti dati della Fapav, il 32% della sola popolazione italiana ha fruito di copie pirata negli ultimi 12 mesi. Circa 355 milioni di visioni sono state illecite. E l’illecito del fatturato della pirateria fisica (parliamo di dvd) è stato in un solo anno di ben 322 milioni di euro! Con questi dati io ritengo, amando il cinema di tutto il mondo e rispettandolo per la fatica enorme di consegnare al pubblico un prodotto ben curato professionalmente, che lanciare un grido di allarme sia un atto dovuto di una persona responsabile. Una persona che in passato, per essersi battuto in prima linea contro la distruzione lenta dell’industria audiovisiva, ricevette anche minacce.
Mi rendo perfettamente conto di rischiare di essere impopolare presso il pubblico dei giovani che «vivono la rete», ma stiamo realmente assistendo (anno dopo anno) al lento sfascio di un’industria e non solo. Mi riferisco anche alla mortificazione di una «memoria storica» che il cinema, non solo quello d’autore, non merita. E poi cosa c’entra dire «sei di sinistra»? Ma è mai possibile che in questo Paese anche un’opinione che dovrebbe nascere da un’etica comune deve essere ideologizzata? Destra o Sinistra di fronte ad associazioni illegali non esistono. Dovrebbero essere il comune senso di responsabilità e di indignazione a superare queste stupide e dannose divisioni ideologiche. Ma purtroppo temo che sia proprio la scomparsa del senso di indignazione alla base di una diseducazione sempre più ampia.
Se questo mio piccolo scritto servirà a far riflettere qualcuno sulle conseguenze di un’imminente implosione di un’industria, allora mi sarò sentito utile.
Carlo Verdone
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