Controcultura

Woodstock e Altamont il sogno e l'incubo della musica

Da agosto a dicembre e dalla East alla West Coast Lettura in parallelo dei due concerti. Tra euforia e morte

Woodstock e Altamont il sogno e l'incubo della musica

I l grande sogno degli hippie partì allora (tra il 16 e il 18 giugno 1967) al Festival rock di Monterey. Era «l'estate dell'amore». Sembrava che un'ondata creativa avrebbe spazzato via il vecchio ordine sociale e si sperava, scrisse il critico Gary Herman, «che Monterey sarebbe stata la cresta viva e spumeggiante di quell'ondata». Otis Redding - uno dei pochi artisti di colore - diceva dal palco: «Vi amate tutti, non è così?», e riceveva in risposta un coro terrificante di «Sììììììì». Si respirava aria di controcultura e di «pace amore e musica», confermate dal Festival di Miami del maggio 1968. Michael Lang, promoter di questo festival, si trasferì a Woodstock attirato dalla vivace comunità musicale del luogo. Woodstock nacque dalla sua intraprendenza e dalla «disponibilità illimitata» (come scrissero in un annuncio sul Wall Street Journal e sul New York Times) di Joel Rosenman e John Roberts, sedicenti investitori che stavano cercando idee per un serial tv. Rosenman e Roberts misero a disposizione mezzo milione di dollari.

«Per loro - scrive Michael Lang nel libro Woodstock, i tre giorni che hanno cambiato il mondo (Hoepli) con prefazione di Martin Scorsese - questo era un investimento. Ma sono brave persone e ovviamente valutarono i risultati in base a quanto andò bene, a quanto le persone lavorarono bene, alla sicurezza e al divertimento». La tre giorni (...)

(...) di Woodstock (15-17 agosto 1969) condivisa da oltre 500mila persone, fu l'apice del sogno degli hippie, risvegliatisi in un incubo il dicembre dello stesso anno, quando al Festival di Altamont gli Hells Angels (alcuni dei quali facevano da guardie del corpo ai Rolling Stones) uccisero a colpi di stecche da biliardo e mazze un ragazzo di colore armato di pistola. Un risveglio implacabile e brutale, quello degli hippie, dove «il campo dei sogni di Woodstock - scrive il critico Michael J. Fairchild - risveglia antichi rituali e danze del sabba. La musica è un frutto con le radici nel blues, che matura e diventa dolce in mezzo milione di teste. Questi sono i Saturnali del Secolo, che infondono la frenesia fino all'alba».

Certo, circolavano tonnellate di droga, ma c'era anche un campo giochi dove i bambini si divertivano da matti tuffandosi sulle balle di fieno da una struttura sugli alberi. E poi, soprattutto, c'era la musica, che né la sferzante pioggia né il micidiale fango riuscirono a fermare. Grande musica per tutti i gusti che ora possiamo gustare appieno (in origine erano usciti solo due album, un triplo e un doppio) nel cofanetto da 38 cd Woodstock 50, che raccoglie al completo tutte le esibizioni dell'evento. Per Santana fu il vero battesimo del fuoco: «Dovevamo suonare senza avere un album alle spalle - ricorda - e tantissimi non avevano idea di chi fossimo. Sembrava di essere in uno di quei film di Orson Welles in cui si ferma il tempo. Per questo, ancora oggi, il mondo normale non si capacita di come un evento simile abbia potuto avere luogo. E senza violenza». Già, senza quella violenza che lo stesso Santana visse sul palco di Altamont, documentata nel bel libro fotografico Altamont 1969 di Bill Owens (Damiani, pagg. 96, euro 28,90). Max Yasgur, che fornì i suoi 600 acri di terreno per la Woodstock Music and Art Fair, ha preso la parola davanti al pubblico dicendo: «Questa è la più grande folla mai radunata tutta insieme. Non avevamo la minima idea che sareste stati così in tanti, quindi vi siete imbattuti in un bel po' di inconvenienti, per acqua, cibo e altro. Ma la cosa importante è che avete dimostrato al mondo che mezzo milione di giovani possono trovarsi insieme per tre giorni di divertimento e musica, senza fare altro che non sia divertirsi e ascoltare musica. E vi benedico per questo!». Alla fine del discorso gli hippie esplosero in un fragoroso applauso per quell'ometto malato di cuore, che si era inimicato tutta la comunità di Bethel.

Leggendari furono gli inconvenienti dovuti alla pioggia; i Grateful Dead suonando presero delle scosse formidabili che li facevano sobbalzare violentemente. John B. Sebastian (l'allora popolarissimo leader dei Lovin Spoonful) era lì come spettatore ma fu mandato allo sbaraglio sul palco - facendosi prestare una chitarra da Tim Hardin - completamente fatto di acido. Le scalette saltavano creando non pochi problemi. David Crosby commentò: «È stato incredibile. Forse la cosa più strana mai accaduta al mondo. Vuoi che ti dica cosa sembrava, visto da un elicottero? Era come un accampamento militare di macedoni su una collina greca, ma popolato dalla più grande massa di zingari che tu abbia mai visto».

L'esibizione del gruppo funky Sly & The Family Stone - considerata da Santana uno degli apici del festival - si potrà ascoltare per la prima volta su disco, così come quella - per citare alcune rarità - del gruppo folk Incredible String Band, il cui album 5000 Spirits or the Layers of the Onion nel 1967 era considerato il corrispettivo folk di Sgt. Pepper's. La band - che aveva come manager Joe Boyd - non poté suonare dopo Ravi Shankar con gli strumenti elettrici a causa dei fulmini e rifiutò di esibirsi in veste acustica. Al loro posto suonò coraggiosamente Melanie, ottenendo un enorme successo. Gli Incredible si esibirono il giorno dopo passando quasi inosservati in mezzo ai watt e agli assolo dei gruppi più famosi. I Creedence Clearwater Revival - all'epoca la band più in voga - suonarono un set stupendo alle 2,30 del mattino di domenica 17 agosto (il disco di quella performance uscirà a parte proprio in questi giorni). Per catturare lo spirito dell'epoca basti citare questa dichiarazione di John Fogerty: «Ci fu un momento che non dimenticherò mai finché vivrò: a 500 metri di distanza, nel buio, c'era un tipo con la fiammella del suo accendino Bic, e nella notte una voce ha detto: Non preoccuparti, John. Siamo con te. Ho suonato il resto del concerto per quel tizio». E poi tutte le mitiche esibizioni dei Mountain, della scatenata Janis Joplin, di Jimi Hendrix che chiuse il festival, degli Who, interrotti a metà concerto dal capo degli hippie Abbie Hoffman, prontamente cacciato con le cattive maniere da Pete Townshend, e lo sconosciuto Richie Havens che, buttato sul palco ad aprire la saga, improvvisò sui due piedi quella Freedom che sarebbe diventata un inno insieme allo spiritual Sometimes I Feel Like a Motherless Child.

Insomma nonostante i «disastri» si respiravano le famose «buone vibrazioni». Quelle che non si respiravano, il 6 dicembre 1969, al Festival di Altamont, che era stato presentato come la risposta della West Coast a Woodstock (e tra gli organizzatori c'era ancora Michael Lang) guidata dai Rolling Stones e dai Grateful Dead. Lì, non si sa perché, la tensione era palpabile (ed è documentata anche dal film Gimme Shelter e dagli spezzoni dell'evento che circolano su Youtube). Persino dei ruvidi hippie da comune come i Grateful Dead (per capirci il loro tecnico del suono Augustus Owsley Stanley III produceva gran parte dell'Lsd che circolava a San Francisco) decisero di non suonare nonostante loro stessi ingaggiassero spesso gli Angels come protezione, e di andarsene perché tirava una brutta aria. Gli Hells Angels, i cosiddetti «tutori dell'ordine», giravano minacciosi e non solo. Marty Balin dei Jefferson Airplane fu preso a pugni da loro e Stephen Stills colpito ripetutamente alle gambe mentre suonava Long Time Gone con Crosby Nash e Young. L'atmosfera di «pace amore e musica» era evaporata e si respirava un clima di terrore. Dov'erano finiti i giochi dei bambini, i balli e i bagni completamente nudi, i canti e gli scambi di cibo e di spinelli di Woodstock?

Gli Hells Angels, ingaggiati e pagati a suon di birra per mantenere l'ordine, stazionavano minacciosi sotto e sopra il palco picchiando numerose persone con tutto ciò che capitava loro in mano. C'erano quattro o cinque sceriffi della Contea di Alameda con le pistole di ordinanza, ma dopo aver visto il numero soverchiante degli Angels decisero di lasciare il campo senza chiamare rinforzi. Si accendevano ovunque piccole risse. Durante lo show dei Rolling Stones, paradossalmente mentre Mick Jagger cantava le parole «It's All Right, It's All Right», accadde l'evento che segnò la fine delle illusioni e l'inizio dell'incubo. Il giovane nero Meredith Hunter, che assisteva al concerto con un'amica bianca, venne ucciso a colpi di stecca da biliardo perché in possesso di una pistola, ma dalle immagini del film - una pellicola buia girata durante la notte - non è chiaro. Secondo la ricostruzione Hunter stava avvicinandosi al palcoscenico su cui suonavano i Rolling Stones con l'arma in pugno. Fu così bloccato da due Angels che lo colpirono al collo e alla testa. «Il dramma di un giovane nero - ha scritto Greil Marcus - ucciso da bianchi in mezzo a una folla di bianchi mentre alcuni bianchi suonano la loro versione della musica nera».

L'omicida si chiamava Alan Passaro, poi scagionato per legittima difesa e trovato morto in un lago qualche anno dopo con 10mila dollari in tasca.

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