Woody Allen, dilettante allo sbadiglio

I nostri vip quando «lui» imbraccia il clarinetto (come ha fatto in questi giorni in luoghi sacri come La Fenice) si spellano le mani per applaudirlo; i fan del jazz sopportano con benevolenza il suo entusiasmo; i talebani della musica lo considerano un «dilettante allo sbadiglio» ma lui, Woody Allen, non si fa illusioni e sa da dove viene il suo successo. «Come musicista valgo poco - ammette - se non mi chiamassi Woody Allen nessuno verrebbe a sentirmi». Eh sì, se non fosse il grande Allen (Allen Stewart Konigsberg, che ha preso il nome d’arte dal mitico band leader Woody Herman) chi mai andrebbe a seguire uno che ripropone l’antico jazz di New Orleans suonando - malino - i classici del ragtime o l’hot jazz di Louis Armstrong e Kid Ory? Dopo la curiosità dei primi concerti al Michael’s Pub di New York, lo show di Woody è sempre la solita minestra (da noi gli è venuta la fissa di chiudere i concerti con Bella ciao), ma l’artista potrebbe cambiare menù domenica 11 in una jam session palermitana - come ventila il gossip - con la band amatoriale Distretto 51 col ministro Maroni al sax.
Non son più i tempi di Frank Sinatra, Dean Martin, Bing Crosby, Fred Astaire, passati alla storia come attori e cantanti (e viceversa). Ora i divi di Hollywood che si danno alla musica raccolgono sì tanto pubblico ma sono un po’ dei Woody Allen del rock. Ci sono migliaia di band in America che suonano un vigoroso melange sonoro da bravi Bruce Springsteen (o Neil Young, o Eagles, lo stile più o meno rockeggiante è quello) dei poveri. Ma se lo fanno Russell Crowe, Kevin Costner e Dennis Quaid con le rispettive band il richiamo di pubblico (leggi successo) è assicurato a prescindere. Poi se la qualità è bassa chissenefrega. Crowe «il gladiatore» se la cava alla chitarra e alla voce alla guida dei Tofog (ovvero 30 Odd Foot of Grunt, tradotto «30 piedi di grugniti», nome preso dal doppiaggio di una scena di lotta nel film Virtuosity) ma sul palco è uno come tanti, anche se il suo album Other Ways of Speaking ha qualche buona freccia al suo arco (tra cui una cover di Johnny Cash). Dennis Quaid dopo aver interpretato al cinema Jerry Lee Lewis si sente un rocker fatto e finito e con i suoi Sharks riempie gli stadi con un rock semplice semplice, mentre Kevin Costner, che ha annullato il concerto milanese previsto la settimana scorsa per impegni cinematografici è una specie di fotocopia di Crowe (ma la moglie dice: «È famoso per i film, ma quando Kevin suona è davvero se stesso»). Crowe però è il più gasato di tutti con dichiarazioni quali: «Io canto troppo con il cuore. E questo mi rende un bersaglio. Ma se non hai paura di suonare la tua melodia e di essere Louis Armstrong o Glen Miller puoi fare cose meravigliose». E un po’ di modestia no? Magari prendendo da Keanu Reeves che, dopo un incontro al supermercato, ha imbracciato il basso e formato i Dogstar. Ha avuto l’onore di aprire concerti di David Bowie e Bon Jovi prendendo il tutto con spirito goliardico e con dichiarazioni tipo: «Mi piace scrivere canzoni e andare in giro a suonare. C’è sempre molta birra gratis».
Uno che con le note non è mai andato troppo d’accordo ma che è nato come musicista prima di diventare una supersar di Hollywood è Will Smith. Quando era un rapper si chiamava Fresh Prince e, in duo con Dj Jazzy Jeff, negli anni ’80 s’è beccato persino due dischi di platino; assolutamente immeritati, ma che gli hanno permesso di entrare nella Mecca del cinema con il serial Willy, il principe di Bel Air, ancora oggi trasmesso come telefilm di culto su Sky FoxRetro.
Uno che con l’armonica ci sa davvero fare - anche se la usa sempre meno - è Bruce Willis. Ancora semisconosciuto convinse i giornali specializzati con il ruvido r’n’b di album quali The Return of Bruno con il nome Bruno & The Accelerators. Johnny Depp (che suona fin da ragazzino) e Mickey Rourke, che fa il percussionista con The Rotten Hill Gang, è difficile che possano lasciare un segno nella storia del rock, così come Hugh Laurie-Dr House non andrà ai posteri come tastierista e chitarrista dei Poor White Trash, né tantomeno Lindsay Lohan con le sue canzoncine. Se la cava invece Scarlett Johansson che incide con coraggio le canzoni del maledetto Tom Waits (Anywhere I Lay My Head) e poi ci riprova con brani più semplici ma ben eseguiti in coppia con Pete Yorn (Break Up).

Tra i più ispirati jack Black (quello di School of Rock) che ci sa davvero fare; la maggior parte degli altri dovrebbero raccogliere il suggerimento di quel genio di Frank Zappa che diceva: «Sono stanco di suonare davanti a gente che applaude per il motivo sbagliato».

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