Writer condannati. A pulire il graffito

Basta o non basta l’obbligo a ripulire tutto, a cancellare ogni traccia, a riportare il muro allo stato originale, perché i writers colti in flagrante si pentano delle loro malefatte ed evitino di riprovarci? O serve invece qualcosa di più, un risarcimento ulteriore, un castigo che funga almeno un po’ da deterrente? La domanda sorge ieri mattina nell’aula di tribunale dove per la prima volta si processano due giovanotti colti in flagrante a decorare un muro pubblico, e pertanto denunciati e querelati dal Comune.
I due sono due ragazzotti come tanti, anzi apparentemente meno ignoranti della media. Uno è di Rozzano e l’altro del Gratosoglio. Se ne stanno in fondo all’aula un po’ intimiditi a cercare di capire quello che succede. Il loro avvocato chiede al giudice un rinvio per permettere agli imputati di cancellare lo «scarabocchio» (come lo definiscono loro) fatto nel luglio scorso sulla scuola di via Tabacchi. L’avvocato del Comune dice che non basta, che è necessario che i due lavorino gratis per la collettività, si dedichino ad un lavoro socialmente utile.
Ma il giudice di pace, avvocato Mazzella, evidentemente non è un amante del pugno di ferro. Concede un mese e mezzo di tempo ai due per tornare sul luogo del delitto e cancellare tutto. Se il 16 luglio si dimostrerà che il muro è tornato al colore originale (solo in quel tratto, si badi, perché gli imputati non hanno alcun obbligo di cancellare le altre scritte precedenti e successive alla loro che infestano il perimetro della scuola) dichiarerà estinto il reato. Almeno così parrebbe orientato a decidere.
Chiacchierando con i cronisti, i due imputati non aiutano a dissipare il dubbio sulla adeguatezza della sanzione. Da un lato si dichiarano psicologicamente provati dall’esperienza dell’incriminazione e del processo («è stato un anno durissimo»), sostengono di avere fatto «una ragazzata», «eravamo in preda all’euforia», giurano di non avere più sfiorato un muro dalla notte di luglio in cui i vigili li colsero in flagrante. Ma dall’altra si guardano bene dal prendere le distanze dal popolo dei writers: pur giurando di non farne parte, spiegano che «a Milano ci sono un sacco di persone che fanno cose peggiori», e che se ai milanesi dà fastidio trovarsi una tag sul portone di casa «a noi invece danno fastidio i cartelloni pubblicitari». E se gli chiedi cosa pensano dei 25 milioni che a Milano il Comune deve spendere ogni danno per riparare ai loro danni, rispondono che «il Comune spende somme maggiori anche in altre cose».
D’altronde, anche la loro versione su quanto accadde quella sera fa un po’ acqua: «stavamo andando a fare altre cose, avevamo le bombolette con noi per altri motivi (quali? ndr) e ci è venuta l’idea di fare lo scarabocchio». La versione dei vigili è un po’ diversa, racconta dei due che si sentono osservati, nascondono gli spray sotto un’auto, aspettano più di mezz’ora fin quando si sentono tranquilli, poi passano all’azione. Insomma, qualcosa di un po’ diversa dall’estro momentaneo. Però «non vogliamo essere i capri espiatori della caccia al writer», dicono i due.

E il giudice dà loro ragione: secchio di vernice e pennello, dovranno andare in via Tabacchi a cancellare tutto. Il vicesindaco De Corato annuncia che l’operazione - a mo’ di piccola pena aggiuntiva - verrà immortalata e le verrà dato «risalto mediatico».

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