In «Yamato» l’eroe perde ogni battaglia

da Berlino

Il sacrificio dei difensori ispira il cinema: ci sono film sugli spartani alle Termopili e sugli ebrei a Masada, sui texani ad Alamo e sui nazionalisti all’Alcazar, su Giarabub nel deserto e su Berlino in fiamme (La caduta). Ma ormai i Festival che premiavano Il treno e Quando volano le cicogne, Ballata di un soldato e Il generale Della Rovere, raramente accolgono i film di guerra, eccetto Salvate il soldato Ryan di Spielberg (Venezia, 1998) e Il nemico alle porte di Annaud (Berlino, 2000). A loro s’è ieri aggiunto, in occasione della Berlinale, Yamato di Junya Sato, speculare a Pearl Harbor di Michael Bay, perché evoca il bombardamento aereo americano contro la più grande corazzata di tutti i tempi, la giapponese «Yamato». In Pearl Harbor è eroe chi perde la battaglia, ma vince la guerra; in Yamato è eroe chi le perde entrambe. L’interesse di Yamato sta relativamente nella battaglia, dove morirono tremila marinai giapponesi il 7 aprile 1945 (il 7 dicembre 1941 altrettanti americani erano caduti a Pearl Harbor) e nella guerra. Conta la pace, in questa prospettiva: «Le sconfitte insegnano». Ovvero rimediamo gli errori senza rinnegare gli eroi. Partendo - come Titanic di Cameron - dalla scoperta del relitto della corazzata, Junya Sato immagina che nel 2005 la figlia di un superstite ne sparga le ceneri in quelle acque.

Consegnato alla storia, l’evento è filtrato dalla memoria e proposto come esempio. Un regista che volesse evocare la battaglia di Matapan o rifare il film bello e triste di mezzo secolo fa (con Mike Bongiorno) sulla tragica notte di Taranto per la Regia Marina, ora sa la strada.

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