nostro inviato a Bergamo
Yara adescata, ingannata, aggredita. Yara si difende, si dinvincola, ma così scatena la furia del suo carnefice che rinuncia a violentarla e la colpisce con una lama al polso, collo, al torace, alla schiena. Il bruto prende il cellulare, toglie batteria e sim, carica il corpo in auto, qualche chilometro e poi l’abbandona in una boscaglia a Chignolo d’Isola, dove sarà trovata tre mesi dopo. È la ricostruzione più probabile della fine della ragazzina di 13 anni di Brembate di Sopra, che sognava di diventare una campionessa di ginnastica ritmica e ha finito la sua vita per mano di un «orco».
I risultati della ricognizione esterna sul corpo, incrociati con gli ultimi spostamenti dell’adolescente, permettono infatti di tracciare un quadro ancora ipotetico, ma tutto sommato abbastanza credibile, sulle ultime ore dell’adolescente. Partendo da alcuni dati certi. Yara scompare venerdì 26 novembre verso le 18.30, a quell’ora viene infatti vista uscire da centro sportivo di Brembate. L’agguato avviene subito dopo e si conclude alle 18.49, quando le analisi dei tabulati telefonici accertano che il suo cellulare non dà più segnali. Un tempo appena sufficiente per coprire, considerando anche l’ora, i nove chilometri tra Brembate e Chignolo, ma non per portare a termine l’aggressione.
Si può dunque ragionevolmente pensare che tutto sia accaduto in paese. A quel punto l’assassino può anche aver nascosto il cadavere, ma al massimo per poche ore non certo settimane, per scaricarlo poi in campagna, magari a notte inoltrata quando aveva più probabilità di passare inosservato. Nel frattempo stacca la batteria al cellulare, che altrimenti continuerebbe a trasmettere segnali alla rete anche spento.
Sabato 26 febbraio, dopo tre mesi, il corpo viene scoperto casualmente da un aeromodellista. Suscitando subito una ridda di ipotesi su quando sia stata portato in quel punto. «La zona è stata battuta più volte» assicura la protezione civile. «Sono passato proprio quella mattina e non l’ho visto» assicura un residente. Ma la replica della polizia non lascia spazio a dubbi: «Il materiale organico sotto il corpo, indica come fosse lì da mesi». Per questo la questura vuole vederci chiaro anche su chi ha condotto le ricerche e come.
La ragazza viene riconosciuta dagli abiti, dal portachiavi, dall’apparecchio per i denti e dal nastro rosso sui capelli che portava la sera della scomparsa. Ma anche dai guanti trovati in tasca insieme a scheda sim e batteria del telefono. Manca l’apparecchio però. Forse perché la sua memoria contiene cose compromettenti: la foto dell’assassino o qualche messaggio scambiato con la vittima.
L’esame del corpo fornisce poi altre indicazioni. La ragazza ha tagli sul polso, classica ferita «da difesa», sul collo, sul torace e sulla schiena, tutti punti mortali. I margini non presentano tracce di sangue, quindi potrebbero essere ferite di coltello, ma anche danni provocati dal tempo, dalle condizioni atmosferiche e da animali. I vestiti sono in ordine, salvo un trascurabile strappo negli slip, mentre se il bruto l’avesse violentata glieli avrebbe tolti o strappati. Senza preoccuparsi di rivestirla. Le conferme a queste ipotesi potranno arrivare solo dagli esami autoptici che inizieranno questa mattina all’istituto di medicina legale di piazza Gorini. Dove ieri si sono recati Fulvio e Maura Gambirasio per il riconoscimento.
Le indagini prendono ora nuovo impulso partendo dagli ultimi elementi che, incrociati ai vecchi indizi, potrebbero inchiodare il colpevole.
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