Yemen, Al Qaida fa strage all’ambasciata Usa

Un gruppo di militanti islamici attacca con razzi e un’autobomba la sede diplomatica americana nella capitale Sanaa: 16 morti

Non volevano solo colpire, volevano entrare nel cuore dell’ambasciata, seminare morte e distruzione dentro l’edificio simbolo del nemico. Ma la roccaforte con la bandiera a stella e strisce ha resistito anche al quarto assalto di Al Qaida in sei anni, un assalto disperato e sanguinoso costato la vita a sei militari yemeniti, a quattro civili e a sei terroristi. Tutto inizia verso le nove e trenta del mattino quando un’automobile si avvicina al posto di blocco esterno. Sulle prime i militari non s’insospettiscono, al volante del veicolo ci sono uomini con la loro stessa divisa. Un attimo dopo è l’inferno. Mentre il primo manipolo di terroristi apre il fuoco a colpi di kalashnikov e missili anticarro, un’autobomba aggira il primo anello di difesa ed esplode davanti alle successive fortificazioni. I militanti vogliono aprire una breccia nelle difese, raggiungere l’edificio, bersagliare i marines che difendono la sede diplomatica e i suoi funzionari. Ma sei anni di falliti assalti hanno trasformato l’ambasciata in una fortezza. Gli assalitori ci provano per dieci minuti fino a quando le forze di sicurezza hanno la meglio, fino quando i terroristi son tutti cadaveri.
«Questo attacco serve a farci ricordare che siamo in guerra con estremisti pronti a far strage di persone innocenti pur di raggiungere i loro obbiettivi», ricorda da Washington il presidente George W. Bush condannando l’attentato. Secondo il portavoce del Dipartimento alla difesa Sean McCormack, l’azione terroristica «che porta tutte le caratteristiche di Al Qaida» è stata respinta grazie al miglioramento dei sistemi difensivi e alla pronta risposta delle guardie.
L’operazione, rivendicata dal Jihad islamico dello Yemen è una conferma dell’attivismo delle cellule yemenite di Al Qaida che hanno trasformato questo Paese in uno dei loro ultimi bastioni. In Yemen si sono trasferiti gli ultimi sopravvissuti delle cellule saudite. E in Yemen hanno trovato asilo i transfughi della Somalia per ridar vita alle Corti islamiche. Grazie a questi afflussi esterni e alle complicità locali il Paese si è trasformato in un hub qaidista dove s’incrociano le rotte delle cellule che operano in Africa ed Estremo Oriente.

Durante una visita a Saana dello scorso giugno Kenneth Wainstein, consigliere per la sicurezza nazionale di George Bush, si era non a caso rivolto al presidente yemenita Alì Abdullah Saleh chiedendo «misure forti e serie per garantire che i terroristi vengano processati e detenuti».

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