Fausto Biloslavo
Doveva essere il giorno della li berazione, o almeno della chiusura dellaccordo definitivo per il rilascio dei cinque turisti italiani rapiti nello Yemen domenica scorsa. Invece è scoppiata una sparatoria fra i rapitori e unità delle forze di sicurezza, che scortavano o forse seguivano i mediatori. Gli ostaggi italiani sono incolumi, ma il conflitto a fuoco ha fatto saltare le trattative. Ieri sera lo sceicco Ahmed Amer Al Anjeri, uno dei negoziatori, ha ammesso sconsolato, al telefono con Il Giornale, che «eravamo arrivati a un accordo. Dovevano consegnarci gli ostaggi, ma poi le truppe hanno stretto il cerchio ed è saltato tutto».
La giornata era cominciata male con le ripetute minacce dei rapitori «uccideremo un italiano se le forze di sicurezza non si ritirano». Minacce probabilmente infondate, che puntano solo ad accelerare le trattative e fare liberare otto membri del clan, responsabile del sequestro dei turisti, detenuti dalle autorità yemenite. Ma nel primo pomeriggio ritornava lottimismo: una delegazione di notabili locali e rappresentanti nazionali coinvolti nel negoziato si è diretto verso il covo dove sono tenuti gli ostaggi. Lo sceicco e parlamentare Jabal Tuaiman spiegava al Giornale che «in 12-24 ore al massimo gli italiani saranno liberati». Secondo altre fonti lobiettivo era farsi consegnare gli ostaggi già ieri pomeriggio o in serata. I mediatori avrebbero in effetti raggiunto il covo e discusso con i rapitori i termini definitivi dellaccordo. Ad un certo punto, però, qualcosa è andato storto. Secondo il sito del giornale Yemen Observer sarebbe scoppiato «un diverbio fra due rapitori e alcuni uomini della sicurezza yemeniti». Altre fonti parlano di un tentativo dei militari di seguire i mediatori o di stringere ulteriormente il cerchio attorno ai sequestratori. Alcuni membri della banda, al telefono con il Giornale, hanno descritto in diretta lo scontro a fuoco: «È in corso una sparatoria, ma cera una mediazione. Fra poco ammazziamo gli ostaggi se non chiamate lambasciata affinché intervenga sul governo yemenita per fermare lattacco», urlava Sallam, il giovane fratello di Marei Al Amiry, il «politico» del gruppo, laureato in giurisprudenza. Anche in questo caso si trattava solo di minacce, ma che fanno impressione: «Sono a due chilometri dal luogo dove teniamo gli ostaggi. Ci sto andando perché ho ricevuto lordine di ucciderli. Sappiamo che gli italiani non hanno colpe, ma anche i nostri familiari prigionieri sono innocenti».
Abbad Saleh Abbad Al Zaydi, uno dei più giovani del gruppo, che parla spesso con la stampa, confermava con calma la sparatoria e in sottofondo si sentiva qualcuno, ben più concitato di lui che dava ordini: «Attenzione, si stanno muovendo da quella parte. I soldati sono dappertutto... ». Sul primo momento sembrava trattarsi di un blitz per la liberazione degli ostaggi, ma la notizia è stata smentita dal governo yemenita e dal nostro ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, in contatto con le autorità di Sanaa. Più tardi lo Yemen Observer, che gode di buone fonti governative, ha ammesso: «Uno scontro a fuoco tra i sequestratori e le forze della sicurezza si è verificato e sembra sia stato fermato dai mediatori». Non sarebbe durato più di dieci minuti, secondo il giornale, mentre i rapitori avevano parlato di almeno unora di sparatorie. Gli italiani sono incolumi, ma il negoziato è saltato o quantomeno sospeso. Lo stesso Fini, pur ostentando ottimismo nel ribadire che «la trattativa prosegue» spiega che si tratta di un negoziato «lungo e complesso». Fini ha giustamente sottolineato che «purtroppo i nostri connazionali sono il primo caso di sequestro dopo che il premier yemenita aveva annunciato un radicale cambio di atteggiamento delle autorità locali nei confronti di queste bande o comunque di questi gruppi tribali, che erano soliti sequestrare turisti e altrettanto sollecitamente rilasciarli».
Una linea dura confermata dallesecuzione, ieri mattina di Ahmed Ali Ahmed Nawas, reo di avere ucciso lolandese Windy Gonder, una turista rapita nel 2001.
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