Zagallo, 80 anni e tre mondiali «Nel ’70 il Brasile più bello di tutti»

Il Brasile festeggia Mario Zagallo, uno dei miti del calcio pentacampione del mondo, che domani compirà 80 anni. L’uomo che ha vinto i Mondiali sia da calciatore che da tecnico, apparso in splendida forma durante i recenti sorteggi del mondiale brasiliano del 2014, ha fatto il bilancio della sua vita, citando come momenti indimenticabili «la conquista della prima Coppa nel 1958 e quella del tris nel 1970, quando subentrai a Joao Saldanha, cambiai il Brasile togliendo Rivelino e Clodoaldo dalla panchina, e nacque la miglior squadra che il mondo ha visto giocare, piena di fuoriclasse». Ma forse non la più bella in assoluto, dato che Zagallo ricorda che «nel 1958 non c’era ancora la televisione...». E infatti quel Brasile, il primo a centrare un titolo mondiale, incantò con le parate di Gilmar, due terzini come Djalma e Nilton Santos, l’estro di Garrincha, la geometria di Didì, la scoperta della perla nera Pelè, ma anche il peso specifico di attaccanti come Vavà e lo stesso Zagallo.
Il monumentò del calcio brasiliano, però, cita anche due esempi di squadre meravigliosamente perdenti: «L’Olanda del 1974 ed il Brasile del 1982. Il Carosello olandese allestito da Rinus Michels era pieno di geni che però persero contro un’ottima Germania. Ma loro erano il massimo e contro di noi vinsero 2-0. Anche il Brasile nel 1982 era una grande squadra, eppure non arrivò neppure fra le prime quattro. Fu una pena».
Come momento da dimenticare nella sua carriera calcistica Zagallo cita «senza dubbio il malore di Ronaldo prima della finale mondiale del 1998. Lui poi mi disse “per l’amor di Dio non mi tolga di squadra”. Pensai che dovevo schierarlo ma purtroppo perdemmo 3-0». E quella fu l’unica finale persa da Zagallo.
Per il regalo più desiderato dovrà invece attendere tre anni, ma ha le idee chiare: «Mi piacerebbe vedere nuovamente una finale Brasile-Uruguay al Maracanà. Voglio assolutamente vedere il Brasile che batte l’Uruguay.

Io ero al Maracanà quel giorno del 1950, come soldato in servizio nell’anello superiore dello stadio e fu molto duro vedere la tristezza di tutta quella gente. Non avrei mai immaginato che otto anni dopo avrei festeggiato un titolo mondiale sul campo, da giocatore».

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