Zanardi: «E se vado bene prenoto un posto a Pechino»

È il solito ironico, dissacrante, competitivo Alex Zanardi. Quello che scherza sul proprio handicap, quello che mette subito in chiaro che l’avventura alla maratona di New York non è per far passerella, «è per far bene, posso concludere fra i primi 15».
Con l’hand bike, una specie di lungo triciclo spinto con le braccia, sarete in 120.
«E ce la giochiamo in due, nel senso di due categorie di disabili: gli amputati e i lesionati alla colonna vertebrale».
Per lei cresciuto a lambrusco e motori, perché la maratona?
«È tutto nato litigando per un posteggio disabili nella piazzola di un autogrill. Arriva uno e fa per metterci la sua auto, ma c’ero prima io - dico - Discutiamo. Poi scopriamo di avere le carte in regola per il posto. Ci mettiamo a parlare. Lui è Vittorio Podestà, campione del mondo handbike. Ci scambiamo i numeri di telefono: pochi giorni dopo inizia a farmi da maestro. Ho riscoperto sensazioni fisiche che credevo impossibili da riprovare dopo l’amputazione; ho avvertito di nuovo la sensazione che si prova quando hai 150 pulsazioni».
Lo sa che l’anno prossimo, a Pechino, ci sono le olimpiadi...

perdoni: la paralimpiadi?
«Sì, certo».
E se dovesse andar bene a New York...?
«Mi passi la battuta: vorrei rimanere con i piedi per terra. Però, chissà: se mi dovessi scoprire disegnato ad hoc per questo esercizio, potrei anche pensarci...».

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