La Provincia «è un ente artificiale che può anche essere soppresso perché non ha una consistenza naturale come il Comune». L’ultimo lancio di agenzia con il virgolettato di un politico di buon senso che in tempi di crisi si impegna a dare un taglio ai costi della politica? Nemmeno per sogno. È l’onorevole Francesco Crispi, durante un comizio davanti agli elettori di Palermo. La data? Il 9 maggio 1880. Centotrent’anni sono passati e gli unici tagli a cui i politici si siano applicati sono quelli dei nastri delle inaugurazioni con tanto di banda, buffet e fascia. Azzurra è quella delle Province, a detta di tutti il più inutile degli enti inutili.
Tanto che non passa giorno che qualcuno non ne proponga l’abolizione. Il risultato? Nessuno, visto che loro (le Province) erano 95 nel 1992 e sono diventate 103 nel 1992 e 107 nel 2005. Nemmeno fossero funghi. Dovessero passare tutti i progetti e i disegni di legge presentati per istituirne di nuove, si salirebbe fino a 134. Uno sproposito se si considera che già oggi il carrozzone prevede un sostanzioso «gettone» per 104 presidenti di giunta (61.569 euro all’anno), 104 vicepresidenti (45.913 euro), 894 assessori (40.963), 104 presidenti del consiglio (39.691 euro) e un esercito di 3.001 consiglieri a 21.131 euro all’anno ciscuno. Il totale? L’enormità di 4.207 stipendi e 115.317.877 euro di spesa. Ancora briciole se si pensa che «le Province in Italia comportano spese per circa 16 miliardi di euro l’anno», spiega con scrupolo contabile il bel libro Abolire le province, a cura di Silvio Boccalatte per l’Istituto Bruno Leoni e i tipi di Rubbettino Editore. Che racconta anche di come il Fascismo sforbiciò le spese affidando il tutto a un’unica persona, il «preside di Provincia».
Oggi, invece, i livelli decisionali sono ben cinque: l’Europa, lo Stato, le Regioni, le Province appunto e i Comuni. Senza tener conto (e si arriva a sette) delle città metropolitane e dei forse ancor più inutili consigli di quartiere. Una bulimia istituzionale che moltiplica una già elefantiaca burocrazia e i costi a carico della comunità. Basta scorrere le tabelle per vedere come dal 2001 al 2005 l’incremento delle spese sia stato del 41 per cento, da quasi 10 miliardi di euro a 14. Tra i settori più «salati» i trasporti (più 52 per cento), la gestione del territorio (più 51), lo sviluppo economico (più 45) e il turismo (più 45). Tutte materie che è difficile pensare non sarebbero ugualmente, se non addirittura meglio gestite dalle Regioni. Enti ad ampio respiro, con visione d’insieme e prospettiva economica e finanziaria. E che già ci costano un bel po’.
La prova che le Province moltiplicano i costi senza migliorare le prestazioni? Le ultime nate. Non molti anni fa si studiava che le Province della Sardegna erano tre: Cagliari, Sassari e Nuoro. Abbastanza per una regione con poco più degli abitanti di Milano e un milione in meno di Roma. E, invece, nel 2005 l’epidemia. Con le Province che quasi si triplicano diventando otto con Carbonia-Iglesias, Olbia-Tempio, il Medio Campidano e l’Ogliastra. In quattro appena un centinaio di piccolissimi Comuni. Razionalizzano il lavoro della Regione riducendo i costi, potrebbe pensare qualcuno. Nemmeno per sogno.
La Provincia di Carbonia-Iglesias, nata nel 2007, è composta da 23 Comuni, 1.500 chilometri quadrati e 132mila abitanti (il quartiere di una media città). Tanto per complicare un po’ il tutto, la sede del consiglio provinciale è Iglesias, mentre quella della giunta è Carbonia. I dipendenti erano 50 nel febbraio 2007 e sono diventati ben 114 già nel gennaio 2008. Trentatrè i politici che si sono affrettati, come si vede, a moltiplicare il numero degli impiegati. E, dunque, i costi che hanno velocemente raggiunto i 30 milioni di euro, di cui 9 derivanti da «entrate tributarie». Ovverosia dalle tasse pagate dai cittadini. Ma con l’aumento dei dipendenti della nuova Provincia, vorrebbe il buon senso, saranno diminuiti quelli della vecchia (Cagliari). Illusi. Lì le spese sono passate da un totale di 113 milioni di euro nel 2005 a 171 milioni nel 2007. Quasi 60 milioni in più spesi da un meccanismo infernale che moltiplica i costi, diminuendo l’efficienza.
E i debiti, dato che una delle principali voci dei bilanci provinciali è quella per «rimborso prestiti» che passa dai 350 milioni di euro del 2000 agli 1,1 miliardi del 2005. Ma la nostra Italia di tutto ha bisogno, fuorché di debiti. Casomai di istituzioni politiche più forti e meno esose. Per ora in una cosa i nostri politici sono imbattibili.
Nella capacità di far dei «buchi». Che, prima o poi, qualcuno dovrà pagare. Non certo loro, i 4.207 a «gettone» nelle Province che dalla loro abolizione avrebbero solo da rimetterci. Mentre il resto degli italiani sicuramente tutto da guadagnare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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