Zecchi battezza la Casa della poesia

La Palazzina Liberty diventa sede stabile per gli artisti milanesi, da Maiorino alla Merini. Un laboratorio letterario per il rilancio della lirica

Zecchi battezza la Casa della poesia

Enrico Lagattolla

«Miracolo a Milano». Qualcuno, in sala, scomoda De Sica. Citazione d’autore, l’assessore alla Cultura Stefano Zecchi ha appena consegnato la Palazzina Liberty a Giancarlo Maiorino il poeta. Momento solenne, la città ha la sua prima «Casa della poesia». Prima anche in Italia.
Il «covo», come lo chiama Zecchi, sta al piano interrato. Alla fine di una scala a chiocciola, dietro due drappi di velluto rosso, davanti a una manciata di tavolini. Cenni di caffè letterario, circolo di avanguardisti del verso, fabbrica di idee. «Ho cercato delle ipotesi praticabili - dice Zecchi - e questa è una struttura già funzionante. È una grande opportunità, Milano ha bisogno di ricostruire un tessuto culturale. Qui c’è il meglio della poesia milanese, usiamo in modo virtuoso queste energie».
Maiorino è soddisfatto, visibilmente. «Era assurdo che a Milano, città ricca di opportunità, mancasse un posto così. Questa Casa deve essere un luogo propulsivo», e anche se «la poesia ha un modo appartato di esistere, dobbiamo usare parte delle nostre energie per farlo vivere».
Autogestione dei poeti, questa è l’idea di Zecchi. Avranno il «covo», avranno la palazzina per le letture e gli incontri «compatibilmente con le altre iniziative», «dovranno costituire una piccola associazione che porti avanti la Casa». Saluta, l’assessore: «Adesso vi lascio, ma non vi abbandono», e comunque «ora tocca a voi».
E il manipolo di poeti - una decina - brulica. Conciliaboli programmatici, abbozzi di manifesti, «impegno a ritrovarsi e a proporre idee». La rivincita della lirica, perché «non sono i poeti ad avere bisogno di un posto come questo - è l’idea di Maurizio Cucchi -, ma il pubblico e la poesia stessa. Se c’è chi pensa di farci un favore è completamente fuori strada». Mezz’ora dopo tutti, arriva Alda Merini. Applauso.

Lei che da Milano vuole fuggire, perché «casa mia mi ricorda il mio manicomio», resterà ora che una casa per i poeti esiste? «No, anche se mi dispiace. Non credo nei luoghi di ritrovo, quanto nella propria interiorità». Poi però scende la scala a chiocciola, e si unisce al circolo dei cantori. Prima della partenza, una sedia nel «covo».

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