Zidane, quel re del pallone con lo stuzzicadenti in bocca

Zidane, quel re del pallone con lo stuzzicadenti in bocca

Tony Damascelli

La monarchia del calcio perde un altro sovrano. Si rafforza la repubblica dei muscolari, delle ripartenze e del quattro quattro due. Zinedine Zidane ieri, all’ora di pranzo, si è presentato alla stampa spagnola e del resto del mondo per confermare quello che aveva già detto davanti alle telecamere di Canal Plus. Ha finito di giocare a pallone con i grandi, dalla prossima estate, dopo il mondiale in Germania, si dedicherà ai bambini, sempre con il Real, sempre vivendo a Madrid, come vuole sua moglie, come vogliono le merengues. Zidane ha rappresentato nel gioco l’artista che sa creare per i sodali in campo, ma anche per chi sta in tribuna. Il biglietto d’ingresso assume profumi e sapori diversi quando uno così si presenta sul prato, sudando già prima che la partita incominci, abbassando il capo sul pallone, come faceva a La Castellana, nei vicoli di Marsiglia, quando la vita era di merda, lo ha detto, scritto lui medesimo e il pallone, dunque, da quella vita merdosa lo ha portato via. Zidane arrivò alla Juventus dopo che il Milan gli aveva preferito Dugarry. Certe cose di mercato segnano la carriera di un calciatore e la storia di un club. Luciano Moggi al primo incontro con il francese, a Bordeaux, si trovò di fronte un tipo almeno bizzarro: Zidane calzava zoccoli da spiaggia, indossava jeans strappati alle ginocchia e una camicia dello stesso tessuto, in bocca teneva lo stuzzicadenti e questo gli impediva di aggiungere parole al borbottio consueto. Un mese dopo quel primo incontro le parti si ritrovarono ancora in Francia e a Moggi apparve la stessa figura, zoccoli, jeans, camicia e stuzzicadenti. Il diggì juventino, con quel tono di voce tra il dormiente e il maramaldo, disse: «Spero che tu abbia cambiato almeno lo stuzzicadenti!». Fu l’inizio dell’amore e, ovviamente, del contratto. Zizou ha cambiato molti stuzzicadenti, ma è rimasto tale e quale, ombroso e improvvisamente solare, individualista e compagnone, generoso e solitario. Il suo football ha attraversato il mondo, quasi nessuno ha mai osato fischiarlo, il carattere introverso è esploso ai mondiali del ’98 con l’espulsione contro gli Emirati, quando per stress aveva spazzolato le scarpe sul corpo di un avversario e un’altra volta in coppa dei Campioni quando aveva dato una testata a un tedesco. Gianni Agnelli, perfidamente, aveva detto che Zizou era più divertente che utile, in verità quella Juventus diventò grande grazie all’algerino di Francia, mal visto dai lepenisti, osannato nelle banlieu e nei siti di ogni dove, un ragazzo senza gloria che aveva dovuto sopportare (e ancora adesso in verità) l’eredità pesante di Michel Platini, francese pure lui, ma completamente diverso nelle posture e nel modo di dire, al punto che tra i due l’amicizia e il dialogo non sono mai stati totali, così come il rapporto con l’illustre datore di lavoro. Zidane festeggerà 34 anni il 23 giugno, nel calendario è prevista Francia-Togo, terza partita del girone mondiale.

Non sarà l’ultima perché, come lui stesso ha detto ieri a Madrid, potrebbero esserci sorprese ma anche conferme gradite. Mentre diceva queste cose non teneva tre le labbra lo stuzzicadenti ma era Zinedine Yadiz Zidane, sovrano del pallone. Era ieri.

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