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Zingari in agguato: «Mi ha rotto il retrovisore»

Zingari in agguato: «Mi ha rotto il retrovisore»

(...) di una Golf grigio metallizzato e a bordo c’erano due uomini. Arriviamo all’altezza del casello di Pegli e il conducente con la mano mi fa segno di andare dritto e di non fermarmi. Mi chiedo: ma come si permette quello lì di dirmi dove devo o non devo andare? Allora metto la freccia ed esco al casello, accostandomi a destra appena uscito. In quel caso, infatti, ero vicino al casellante ed eventualmente potevo contare su un testimone. Intanto anche la Golf è costretta a seguirmi e a uscire con me al casello. I due parcheggiano dietro di me e io scendo chiedendo loro cosa volessero. Da vicino li potevo squadrare meglio. Il conducente poteva avere 27 o 28 anni, altezza circa un metro e 75, capelli scuri e ricci, un po’ lunghi. Indossava una maglietta nera e un paio di pantaloni scuri. L’altro, decisamente più basso e tarchiato, obeso e un po’ stempiato, sembrava intorno ai 40 anni. Anche lui vestiva una maglietta celeste su blue jeans. Entrambi, anche per quanto riguarda l’aspetto, davano chiaramente l’idea di essere zingari. Ma non rom, bensì italiani. E per la precisione napoletani.
Il primo, quello seduto accanto al conducente, mi domanda: «Non ha sentito un colpo?». L’altro, venendomi incontro, in un misto tra italiano e napoletano, mi fa notare il suo specchietto retrovisore con la copertura di plastica rotta. «Lei mi ha rotto lo specchio - mi dice - L’ho appena cambiato la settimana scorsa, mi è costato 112 euro...».
Io, lì per lì, resto frastornato. In autostrada non mi ero avvicinato, neanche per sbaglio, ad alcuna auto. E quando due veicoli in rettilineo seguono la propria corsia stando ognuno dalla propria parte, la distanza tra loro non è mai inferiore a un metro e mezzo - due metri. Come era possibile che avessi fatto un simile errore senza neppure accorgermene? E poi il modo di fare di quei due non mi convinceva affatto. Per cui, per tagliare la testa al toro, gli dico subito che avrei chiamato immediatamente la polizia stradale invitandola a raggiungermi per fare un verbale sull’accaduto. Dopo ci saremmo scambiati i dati delle nostre rispettive assicurazioni e io avrei fatto un rapporto completo alla mia, specificando tutti i dubbi che avevo.
Appena ho parlato di polizia, però, l’altro ha cominciato ad agitarsi. Evidentemente nei suoi piani non era prevista né una sosta al casello, e quindi di fronte ad altri testimoni, né il dover rispondere alle domande di una pattuglia della stradale. Il compare, invece, appena ha sentito la parola «polizia» se n’è tornato in auto e lì è rimasto. Il più giovane lo ha quindi raggiunto e i due hanno parlottato. Poi è tornato verso di me. «Senta - mi dice - io non sono di qua e le assicurazioni costano un sacco di soldi, perché non mi paga subito il danno e la facciamo finita qui?».
«Non ci penso neppure - è stata la mia risposta - Io chiamo la polizia e poi ne parliamo».
«Allora facciamo così - ribatte l’altro - dividiamo la spesa a metà: lei mi dà cinquanta euro e va bene così...».
«Io non le dò un centesimo - ho replicato - e comunque adesso chiamo i poliziotti».
A quel punto il giovane si è davvero agitato. «E vabbé, pazienza. Nun nè successo nente, nun né successo nente - continuava a dire - E che saranno mai cinquanta euro...».
E prima ancora che potessi rispondere era già salito sull’auto, aveva messo in moto ed era sparito lungo la strada che dal casello di Pegli scende a Multedo. Purtroppo tutto è avvenuto così in fretta che non ho fatto nemmeno in tempo a prendere il numero della targa di quei due mascalzoni. Ma tanto è bastato per farmi aprire definitivamente gli occhi.
Infatti questi delinquenti sono continuamente a caccia di vittime. Quelle preferite sono uomini e donne soli alla guida. Li vedono arrivare e quando sono più o meno alla loro altezza, si accostano bruscamente in modo da far toccare i due retrovisori. Il loro, ovviamente, è già rotto. Ma l’effetto per l’automobilista vittima è sempre lo stesso: un senso di colpevolezza per aver commesso un errore di cui non ci si rende conto.
Sarebbe dunque buona cosa che la polizia stradale cominciasse sul serio a dare la caccia a questi farabutti, anche per evitare che qualcuno possa davvero correre pericoli più seri. Infatti viaggiano in due proprio per affrontare eventuali reazioni negative della loro vittima e tendono a far fermare l’auto presa di mira in una piazzola dell’autostrada dove nessuno può ascoltare o intervenire su quanto sta accadendo. E si può immaginare come si possa trovare un anziano o una donna alle prese con questi individui.

Anche perché, nonostante il «buonismo» di certa sinistra radicale, è un fatto che la microcriminalità si stia facendo sempre più incalzante. E lo specchietto retrovisore è soltanto una delle ultime «trovate» in circolazione.

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