Zocca, il parmigiano, lo spazio. L'astronauta Maurizio Cheli, il primo "it-alien" in orbita come specialista di missione

È stato il primo non americano a volare nello spazio come "mission specialist"

Zocca, il parmigiano, lo spazio. L'astronauta Maurizio Cheli, il primo "it-alien" in orbita come specialista di missione
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È stato il primo non americano a volare nello spazio come «mission specialist». Un vero (it)alien, potrebbe essere definito Maurizio Cheli, nel 1996 in missione sullo Space Shuttle Columbia. «Alien» perché è così la Nasa chiama, con termine tecnico, gli astronauti non americani. Selezionato, con altri 5 tra 6.500 aspiranti, il primo italiano astronauta professionista. Un «alien» di Zocca. «... e sì - risponde ancora prima della domanda su Vasco - lo conosco e abbiamo una cosa in comune: a entrambi piace andare al massimo ma ognuno lo fa a modo suo». Cheli ha uno spazio, oggi, per ogni avventura terrestre. È imprenditore, scrittore («Tutto in un istante», Minerva ed.), speech motivazionale appassionato. Se l'è trovata da solo la definizione di «passione». Nessuna di quelle del vocabolario lo soddisfacevano abbastanza, lui che già a 5 anni aveva deciso che avrebbe volato, dopo aver abbandonato l'idea di fare il pompiere o il camionista. «Mi è passato un aeroplano bassissimo sopra la testa. Ho guardato in alto e non ho più guardato in basso». Sogni. E passione per trasformarli in realtà. «La passione è la cosa più importante che abbiamo. Per me - dice - è mettere insieme stomaco e cervello. Lo stomaco ci dà la direzione naturale verso cui ci sentiamo attratti, poi serve il cervello per prendere le decisioni». Beh, facile parlare di passione quando uno guarda allo spazio. «L'obiettivo esaltante non rende altrettanto esaltanti le attività di ogni giorno. L'addestramento ad esempio è super ripetitivo, estremamente noioso, con orari impossibili. Eppure è proprio con quell'attività di tutti i giorni che costruiamo un materasso di determinazione e competenza che servirà quando arriverà quel momento in cui la situazione sarà più grande di noi, ci farà cadere. Ed è lì che abbiamo bisogno di quel materasso su cui attutire la caduta e da lì rimbalzare con molta più energia». La sua è una passione in salsa italiana. È diventato astronauta «leggendo il giornale». C'era un annuncio: «Cercasi astronauti per l'agenzia spaziale europea», non proprio scritto così ma il senso era quello. «In Italia non aveva ancora volato nessuno e arrivare nello spazio sembrava davvero fantascienza». Da bravo italiano ha presentato la sua domanda con una vecchia raccomandata. Due anni di selezione, e finalmente: astronauta alla Nasa. Telefonata a casa. «Ehi papà, ce l'ho fatta! Sono astronauta». «Ma questo astronauta è un lavoro sicuro?» e non si riferiva alla pericolosità del lavoro «voleva sapere se alla fine del mese avrei portato a casa lo stipendio». Lo spazio italiano è fatto di tutto questo. Guardare in alto ma con i piedi per terra. Quella Terra da cui Cheli è stato «sparato» sullo Space Shuttle: 2.500 tonnellate di peso con 3.500 tonnellate di spinta grazie ai motori principali. In 8 minuti e 28 secondi a 400 chilometri di quota in orbita. Tra 1300 interruttori diversi, la consapevolezza che quando si chiude l'oblò la persona più vicina si trova a 8 chilometri di distanza, la scoperta che la Terra è blu e il cielo più nero del nero, un odore: quello delle banane.

Banane? Nello spazio? L'astronauta non americano può portare un alimento per riconnettersi alle sue radici. Cheli da buon it-alien aveva portato il parmigiano. Un suo collega un sacchettino di banane che durante la fase di depressurizzazione si era aperto. Per Cheli lo spazio saprà sempre un po' di banane.

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