Zoff compie 70 anni mentre il suo successore è nella bufera. Due generazioni troppo lontane per usi, costumi e linguaggi in campo e fuori

Dino aveva già settant'anni quando era un bel frut friulano di anni venti. Gigi è ancora uno sbarbato quindicenne, adesso che conta trentaquattro anni. Dino non è mai stato intervistato dalle Iene, Gigi va davanti a qualunque telecamera. Dino ha alzato la coppa dorata al cielo e ha giocato a scopa con il capo dello Stato, anche Gigi ha messo le sue manone sul Mondiale ma con Giorgio Napolitano non ha tentato nemmeno un cruciverba enigmistico. Dino non ha mai avuto un suo sito web, Gigi tuitta, feisbucca, naviga in ogni dove. Dino non ha mai fermato i suoi capelli con una forcina e il gel, Gigi davanti allo specchio studia le uscite sulle palle alte e, nei dettagli, la propria immagine; Dino e Anna, nonni, hanno un figlio che si chiama Marco, Gigi ha messo il nome di Louis Thomas e David Lee ai due pupi che gli ha regalato Alena.
Dino Zoff è stato uno dei più grandi portieri della storia del football, Gianluigi "Gigi" Buffon è, forse, il migliore di tutti, oggi. Numeri uno, della Juventus, della nazionale, campioni sicuri, garantiti, uguali e vicinissimi tra i pali, distanti una vita quando non c'è più un pallone da parare.
Le quattro lettere del cognome sincopato del friulano rappresentano la sintesi della sua esistenza, una firma rapida sotto la fotografia della carriera, Zoff, basta, avanza.
Il nome del casato di Gigi si presta alla stucchevole battuta ma è anche un ritorno all'antico, a parte il filosofo francese di nessuna parentela, piuttosto a Lorenzo che fu portierone pure lui, sposo di una valletta televisiva, la Campagnoli di Lascia o Raddoppia e cugino di secondo grado del campione contemporaneo, Buffon, con l'accento sulla seconda vocale.
Dino Zoff compie oggi settant'anni proprio nel momento in cui Gigi Buffon avrebbe voglia di lanciare qualche torta in faccia a chi vuole calciare una domanda sul suo fair play.
Due persone e personaggi che appartengono alla stessa categoria ma a due generazioni che non hanno alcun contatto. Leggendo e ascoltando le frasi dure e anche volgari che Gigi sta pronunciando sulle ultime vicende di campionato si può intendere perché questo calcio sia figlio di un mondo nel quale i campioni di un tempo non troverebbero posto, per scelta.
Di Zoff si scrisse e si disse, dopo il mondiale del Settantotto in Argentina, che non avesse più le diottrie per giocare a pallone, i tiri da lontano di olandesi e brasiliani lo avevano fatto fesso; quando Dino annunciò il ritiro dall'attività Giorgio Forattini disegnò una vignetta feroce e malinconica, l'area di rigore deserta, la porta vuota, un paio di occhiali posati sul prato e questa didascalia: ZOFF LIMIT. Quattro anni dopo, Zoff, senza lenti a contatto, andò a conquistare il titolo mondiale, Brera e Forattini parteciparono, sul carro del vincitore come usiamo noi italiani.
Buffon ne ha passate mille, tra accuse di fascismo, corruzione, bravate, secondo repertorio contemporaneo.
Per entrambi mi torna alla mente una frase che Enrique Omar Sivori sbattè sul muso imbronciato proprio di Dino, durante una partita: «Se noi ci fossero quei tre pali, voi portieri fareste la fame…». Dino e Gigi non hanno mangiato pane nero e duro, semmai brioches e caviale ma stando seduti a tavole diverse. Onore a Zoff, per il suo compleanno e per la leggerezza e la discrezione della sua esistenza di calciatore, campione, uomo, portiere. Del resto quando aveva vent'anni già ragionava, bene, e parlava, poco, come oggi, maturo e saggio, anche un po' noioso come accade a chi posa ogni parola sulla bilancia e non sul microfono. Un messaggio a Gianluigi Buffon: sappia che i pensieri e le parole degli altri, che non siano calciatori e allenatori sodali suoi, meritano comunque rispetto.

Non sbagli uscita, lasci che soltanto il pallone superi l'ultima linea bianca mentre lui, saldo, cerchi di mantenere l'equilibrio al di qua, difendendo con l'intelligenza, non con le mani, il proprio cognome, la propria storia. E spedisca oggi un augurio e un ringraziamento a Dino. Omar Sivori, forse, aveva ragione.

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