Zola è al calcio d’addio si ritira il piccolo gigante

«Per me non è mai stato un lavoro ma un divertimento, il Cagliari mi ha offerto un nuovo contratto ma ho scelto la famiglia»

Tony Damascelli

Gianfranco Zola si ritira. Ecco un colpo al cuore per chi ama il football. Scrivo il sostantivo inglese perché magic box, come lo aveva definito Giancarlo Galavotti, collega che vive e lavora a Londra ma degli inglesi poco o nulla ama, dunque magic box Zola è un calciatore dell’isola, Oliena il sito di origine, Londra quello di celebrazione, la Sardegna e l’Inghilterra, la Nuorese e il Chelsea, una storia lunga e bella, con stazioni diverse e una sola emozione per questo ragazzo uomo con la faccia da nuraghe, discreto e silenzioso, tenace e fermo come la gente sarda sa essere e sa esistere. Quando la maglietta gli arrivava sotto le ginocchia faceva anche cose da bambinaccio, qualche gatto di Oliena o di Sassari avrebbe potuto raccontare gli incubi vissuti cadendo, per spinta, da un tetto o da un davanzale, giochi di gioventù non proprio bruciata. Vennero poi una Renault 9, di colore bianco, vennero il Napoli dove Luciano Moggi lo portò in cambio di 400 milioni alla Torres («Finalmente uno più piccolo di me» disse Diego Armando Maradona scorgendo quello sgorbio che era stato rifiutato dal Torino e dall’Atalanta, dalla Sampdoria e dalla Lazio e addirittura dal Cagliari stesso perché chi era abituato ai rombi di tuono non sapeva cosa fare di un nanerottolo con le gambe secche). Zomeddu, che era insegnante di fisica e di matematica, era il suo maestro di football, il soprannome isolano sta per Giovanni Maria Mele. Sono passati anni mille e il fattore Zeta non è cambiato, Gianfranco Zola ha annunciato il ritiro senza strillare, senza parlare di scelta di vita, ma facendo i conti con quello che ha dato, quello che ha avuto, e quello che gli ricorda la carta di identità, anni trentanove il giorno 5 luglio, ci siamo: «Non ho ancora fatto un giorno di vacanza da quando è finito il campionato, ho passato tutto il tempo a ritirare premi. Ringrazio i tifosi, tutti, le persone che ho conosciuto nella mia carriera, dalla Nuorese al Chelsea. Speravo, dopo un po’ di tempo trascorso a riflettere, di voler continuare questa avventura fantastica, ma ora credo che sia giusto così: è arrivato il momento di finirla. Tutti sanno che sono venuto a Cagliari con tanta passione e un sogno: riuscire a dare a questa squadra il mio aiuto per tornare in serie A e restarci. Credo di esserci riuscito e questo mi riempie di orgoglio. Devo ringraziare il Cagliari, il suo presidente, i compagni, tutta la gente sarda che mi ha accolto alla grande e mi ha sempre sostenuto. Sono contento di quello che ho fatto, non ho vissuto questa lunga esperienza pensando a un lavoro ma soltanto a un divertimento. Per me era una goduria allenarmi e scendere in campo la domenica».
Cellino ha provato a convincerlo, con un nuovo contratto, Franco Carraro spera che ci ripensi, si fa così quando la musica è finita e gli amici se ne vanno. In due estati il calcio italiano si è giocato prima Roberto Baggio e dopo Gianfranco Zola, non è soltanto una questione anagrafica, il logorio del calcio moderno propone altri reality show.

Prevedo che Zola si dedichi alla moglie Franca, ai figli, alla pesca, tornerà a suonare il piano, Elton John lo avrebbe voluto in un concerto, era il 1997 ma magic box non se la sentì, d’accordo l’Inghilterra, d’accordo il rispetto che gli inglesi gli hanno riservato, addirittura con l’onorificenza consegnatagli a Roma, come membro dell’Impero britannico, ma Zola preferisce ascoltare la musica di Paoli o De Gregori o Brian Adams e osservare il mare di Sardegna che è limpido, profondo, luminoso come lo è stato il football di Gianfranco, venuto da Oliena, passato da Sassari, approdato nel continente, da Napoli a Parma, emigrato sull’isola della Regina, tornato a respirare l’aria della terra sua.
Mai naufrago ma artista dimenticato da noi poveri, ignoranti e distratti cittadini del mondo calcio.

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