Coronavirus

Zone rosse, ecco chi è la pm che ora può inchiodare Conte

Maria Cristina Rota è procuratore nella città natale. Dai delitti satanici a Calderoli, la toga che indaga sulla Val Seriana

Zone rosse, ecco chi è la pm che ora può inchiodare Conte

Bisogna stare attenti a non confonderla con l'altra Maria Cristina Rota, esperta di Malattie infettive al Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Iss. Quella giusta di mestiere fa il magistrato, dal 2018 procuratore aggiunto presso il Tribunale di Bergamo. Piano primo, stanza 101.

La Maria Cristina Rota in toga è il procuratore che oggi sta ascoltando Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese per provare a far luce sulla fumosa questione della mancata zona rossa in Val Seriana. Bergamasca doc, online non si trovano suoi ritratti né è disponibile sul sito del Tribunale un curriculum. Ieri il Corriere le ha dedicato solo un pezzetto di spalla, giusto qualche nozione. "Amante dei viaggi", "allieva di Spataro", "di fede valdese", di lei si dice sia stata "uno dei primi magistrati a utilizzare le intercettazioni telefoniche (e le reazioni degli indagati agli articoli di stampa) per risolvere un caso di nera clamoroso". Indagava sull’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, uccisa a coltellate a Chiavenna il 6 giugno del 2000. Venti anni esatti dopo, Rota si ritrova a Roma con in mano un'inchiesta molto più scottante di quella delle tre minorenni che ammazzarono la religiosa alla termine di un rituale satanico.

Quando nel 2018 divenne procuratore aggiunto, fu scelta con 14 voti su 22 contro lo “sfidante” Enrico Pavone. Magistrato dal 1992, dopo le esperienze a Lecco e a Milano (minori), da ormai 17 anni è in attività nella sua città. Il Corriere di Bergamo la definì la pm "dei casi scomodi" e a favorirla nel ruolo di vice pare sia stato il suo "curriculum di più ampio respiro". Le sue inchieste spaziano dalle fasce deboli ai reati finanziari e fallimentari. Se si cerca nell'archivio dell’Eco di Bergamo, spuntano ritagli della sua attività investigativa: le bombe piazzate in una villa a Gazzaniga nel 2014, la “banda del Ragno” dedita a estorsioni e usura, il fallimento della Maxwork. Quando fu nominata, l’allora procuratore capo Walter Mapelli disse: “C’è piena sintonia, farà un buon lavoro”. E se oggi la Rota si trova nel ruolo di procuratore “facente funzione” lo si deve alla morte prematura proprio di Mapelli, magistrato noto per l’inchiesta sul “Sistema Sesto” che investì l’ex presidente della provincia di Milano, Filippo Penati.

Ha sorpreso molti l’intervista concessa al Tg3 e quella frase ormai al centro del dibattito pubblico su chi dovesse istituire la zona rossa. “Da quel che ci risulta, è una decisione governativa”, si è lasciata sfuggire la toga. Ai cronisti ha detto di voler “lavorare serenamente, abbiamo bisogno di pace”, ma la pressione mediatica che inevitabilmente si concentrerà su questa indagine non sembra intimorirla. In fondo ci è abituata. Nelle relazioni di presentazione al Csm per la scelta del ruolo di aggiunto, a suo favore veniva citata “la delicatezza delle indagini e dei processi derivante dalla qualità degli imputati (…) ovvero dalla pressione mediatica sulle stesse (…)”. Certo non la potranno accusare di aver fatto un favore ad Attilio Fontana per chissà quale vicinanza con la Lega. È stata lei, infatti, insieme al collega Gianluigi Dottori, ad aver condotto l’indagine a carico del senatore Roberto Calderoli, processato per aver definito l’ex ministro Kyenge un “orango”. Il procedimento era partito di ufficio sostenuto proprio dai due pm che si opposero anche al tentativo della difesa di sostenere la scrutinante dell’insindacabilità dei parlamentari, che non possono essere chiamati a rispondere delle loro affermazioni. Dopo il voto dell’aula, il Tribunale di Bergamo fece ricorso alla Consulta. E vinse.

Conte insomma ha di fronte un osso duro.

Commenti