Zontini, l'illusione di rimpiangere l'«orfanzia»

Massimiliano Parente

Una delle più grandi illusioni dell'età adulta: rimpiangere l'infanzia. Siccome è facile dimenticarsi di quanto sia crudele e difficile essere bambini, quante angosce, paure, esitazioni siano in agguato in quella che, a posteriori, sarà ricordata come l'età più spensierata della vita. Ma eravamo felici sul serio? Ne siamo sicuri?

È questo aspetto che rende interessante Orfanzia, romanzo d'esordio di Athos Zontini, dove il giovanissimo protagonista si rifiuta di mangiare, convinto che i bambini vengano messi all'ingrasso dai loro genitori, e poi spariscano perché divorati. «Tutti i genitori si mangiano i figli. Per questo li portano dal pediatra pure se non hanno niente. Quello è d'accordo con loro, controlla che stanno crescendo bene e li avverte quando è il momento».

Non si legga però la storia come la disanima di un caso clinico, l'anoressia è solo un pretesto, una metafora, o meglio ancora l'arma del protagonista per ribellarsi al terrore di essere bambino, deportato nella spietata routine di una normale famiglia. Zontini, infatti, dà vita a un semplice ingranaggio narrativo di incubi infantili: le visite dal pediatra, le imposizioni del nutrizionismo, la tortura di essere trascinati al mare e spalmati di creme sotto il sole, le accuse di essersi ammalati perché sudati, e le liti dei genitori, quando «al momento sembra che niente sarà più uguale a prima, poi la mattina dopo ricomincia tutto daccapo».

A emergere, soprattutto, è l'egoismo feroce degli adulti. E molte malinconie già presenti nell'infanzia, perfino una precoce percezione dell'entropia, come osservare un giocattolo ricoperto di polvere con cui si giocava fino a poco prima. «L'orso con cui dormivo fino all'anno scorso mi guarda con gli occhi mezzi scuciti e un ghigno da pazzo. Sta lì abbandonato su uno scaffale insieme a altri pupazzi senza braccia, con la testa appesa, il pelo scolorito, tutti con la stessa espressione cattiva, come se volessero farmi scontare che non giochiamo più insieme».

D'altra parte ogni bambino è un universo destinato a sparire, il tempo per avere pochi anni è poco, ogni anno una trasformazione, una nuova pelle, un nuovo corpo, un'altra identità: si muore più volte da bambini, in dieci anni, che da adulti in settanta.

E nessuno sopravvive davvero alla propria infanzia, che non sarà mai felice come la ricorderemo. Così «anche i bambini sorridono spensierati, l'odio col tempo diventa una nebbia, ti affezioni e ti scordi di tutte le volte che hai pianto».

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