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Intercettazioni truccate: arrestati e poi assolti

Era il 2005 quando una clamorosa operazione portò in galera a Reggio Calabria l’ex sottosegretario Pagano, magistrati, poliziotti e imprenditori. L’accusa infamante era di essere collusi con la mafia. Ma le prove principali erano trascrizioni di telefonate fasulle

Intercettazioni truccate: arrestati e poi assolti

nostro inviato a Reggio Calabria

Si fa presto a parlare di intercettazioni invasive, eccessive, costose. La vicenda giudiziaria che vi stiamo per raccontare, costruita su spezzoni di conversazioni intercettate che non sarebbero state in realtà mai intercettate, dà l’idea di come il problema da affrontare a livello parlamentare sia in realtà molto più complesso. Partiamo dalla fine. E cioè dall’archiviazione del gip reggino Kate Tassone che su richiesta dei pm (con il procuratore capo Pignatone in testa) ha prosciolto tutti gli indagati dell’operazione «Gioco d’azzardo» che nel 2005 portò in galera 16 dei 43 personaggi finiti sott’inchiesta, fra cui l’ex sottosegretario al Tesoro, Santino Pagano, il giudice Giuseppe Savoca, gli imprenditori Salvatore Siracusano e Rosario Spadaro, il questore vicario Alfio Lombardo e molti altri.

L’ipotesi iniziale dei magistrati era che vi fosse una sorta di comitato d’affari politico-mafioso, favorito da imprenditori vicini a Cosa nostra, con addentellati negli uffici giudiziari e di polizia. Un’associazione criminale che trafficava in armi e riciclava denaro sporco. A sostegno di questa tesi gli inquirenti portavano le dichiarazioni di alcuni pentiti e i contenuti di svariate intercettazioni. Pagano e soci finivano dritti in carcere, vi rimanevano sei mesi, salvo poi essere rimessi fuori dalla Cassazione e dal tribunale della libertà.

Gli arrestati si sono sempre professati innocenti e hanno gridato subito al complotto giurando che quelle intercettazioni erano state contraffatte. Proprio così: «Sono false». «Le hanno manipolate». Possibile? Più che possibile, sostenevano gli ex indagati, visto che nel 2002 in un procedimento analogo a Milano l’ascolto di ben 58mila telefonate sugli stessi fatti aveva portato a un’archiviazione per l’imprenditore Siracusano sospettato di essere il riciclatore della mafia. Per un’ipotesi di violazione del segreto d’ufficio Milano spedì comunque il fascicolo in Calabria dove la Dia, riascoltando in particolare una di quelle 58mila intercettazioni (al Bar Grillo di Messina) riscontrava riferimenti inediti a partite di droga, armi, soldi sporchi, perfino ad allusioni sull’omicidio del professor Matteo Bottari.

La Dia ha sempre negato d’aver giocato con le trascrizioni. Gli indagati hanno sempre sostenuto il contrario, e a dimostrazione di ciò a un certo punto hanno esibito i risultati di una doppia perizia tecnica sul nastro incriminato (che il consulente di un altro imputato si era premurato di duplicare anche se era stato giudicato inutilizzabile dagli inquirenti perché incomprensibile). Dalla pulitura della bobina emergeva così che i riferimenti ad armi e droga, a certi mafiosi, a determinate persone incensurate, in realtà non comparivano mai.

Alle stesse conclusioni dei periti di parte arrivava il consulente nominato dalla procura di Catanzaro, dove nel frattempo il fascicolo era stato girato per competenza, che dopo aver ascoltato e riascoltato il nastro confermava che al contrario di quanto riportato dalla Dia effettivamente (al giro di nastro 01,07,942) non c’era alcun riferimento a un «bazooka», a partite di «cocaina e hashish», a «mezzo chilo di droga», a un mitragliatore «kalashnikov», a «cani antidroga». E nemmeno a uno dei 110 personaggi che secondo la Dia erano citati nell’intercettazione.

Un giallo. Un mistero. Per la Dia, se qualcosa non torna, non è per dolo. Per la difesa degli indagati il dolo c’è ed è reiterato. La battaglia è tuttora aperta, tra frasi «inventate», frasi «tradotte male» o «interpretate». Al giro di nastro 00.06.36.17, ad esempio, i periti di Pagano e Siracusano giurano trattarsi di uno scambio di battute fra un cliente e un barista («un aperitivo analcolico», «analcolico?», «un crodino?»). Per la Dia, al contrario, trattasi di discorsi sul narcotraffico dove si discute di qualcuno che ha parlato incautamente al telefono e che viene definito un cretino («e iddi parrai chi telefoni», «fu cretinu»). Stessa frase, due versioni contrappposte: un crodino o fu cretinu?

Sulle intercettazioni al Bar Grillo i periti Pititto e Baldo, nominati successivamente dal gip di Reggio Calabria a cui era tornata indietro la pratica, hanno dato torto alla Dia. E alle stesse conclusioni è giunto il direttore tecnico Delfino della polizia scientifica di Roma a cui la procura di Lecco ha delegato accertamenti essendo pendente, nel suo ufficio, un’ulteriore indagine sulle presunte manipolazioni delle intercettazioni nell’inchiesta Pagano-Siracusano.

Ma c’è di più. A pagina 51 della richiesta di archiviazione dei pm reggini si fa poi cenno ad altre dodici intercettazioni disposte, stavolta, dalla procura di Reggio Calabria: quelle nello studio del commercialista Giancarlo Panzera, considerato un complice di Siracusano e Pagano nel tentativo di depistare gli inquirenti sulla provenienza di un bel po’ di soldi sospetti, ritenuti inizialmente di provenienza illecita eppoi giudicati diversamente dai pm reggini perché considerati «introiti in nero ottenuti con le compravendite immobiliari».

Sul punto i magistrati osservano come già il tribunale della libertà «si era espresso freddamente» sulla portata delle nuove intercettazioni. E se il collegio non ha ritenuto di poter attribuire al materiale il significato accreditato dalla Dia, ciò è dovuto sia «alla mancanza di adeguata correlazione tra le conversazioni ritenute maggiormente significative e il materiale processuale», sia «per alcune significative divergenze segnalate dalle difese al Riesame tra le trascrizioni offerte dalla polizia giudiziaria e quelle realizzate dai consulenti della difesa. È chiaro, quindi, che a questo punto diviene necessario attribuire valore decisivo alla trascrizioni effettuate dai periti del gip, Pititto e Baldo, con particolare riferimento ai passaggi-chiave delle conversazioni ritenute maggiormente compromettenti».

Quanto alle «nuove» intercettazioni, ancora i pubblici ministeri reggini rimarcano «come il raffronto tra la trascrizione effettuata dalla polizia giudiziaria (la Dia, ndr) e quella effettuata dai periti del Gip rende plasticamente la situazione di assoluta insostenibilità della chiave interpretativa accreditata nell’informativa Dia» con riferimento a un paio di conversazioni nelle quali «la divergenza fra il testo dell’informativa e quello dei periti si presenta nella massima divaricazione».

Come se non bastasse, anche nel dispositivo d’archiviazione del 4 dicembre 2008 per il giudice Giuseppe Savoca, a proposito dell’intercettazione ambientale nel bar Grillo, si faceva presente che dalle successive operazioni di filtraggio e trascrizione della Dia criticate dalla difesa degli imputati, queste venivano «censurate dal Riesame» e «in seguito dichiarate nulle dal Gip». Che poi le ha trasmesse alla procura di Lecco, essendo stato commesso nella sua provincia, a Merate, il reato iniziale.

Qui sono indagati i funzionari della Dia autori dei presunti taroccamenti denunciati dagli ex indagati. Se un capitolo si chiude con un’archiviazione, un altro resta da scrivere. E soprattutto da chiarire, oltre ogni ragionevole dubbio.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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