Montecity, l'accusa della procura: "Il sistema? Contratti falsi e favori"

L'inchiesta sulle bonofiche, secondo i pm milanesi decine i milioni ripuliti all’estero e riportati a misteriosi beneficiari

Montecity, l'accusa della procura: 
"Il sistema? Contratti falsi e favori"

Luca Fazzo
Enrico Lagattolla


Milano - «Quei contratti sono falsi, nel senso che la nostra attività non è mai consistita nella intermediazione. Questi falsi contratti erano finalizzati a consentire un flusso di denaro a nostro favore». Bastano tre righe per spiegare un sistema. Il verbale è del marzo 2009. Davanti ai magistrati c’è Giuseppe Anastasi, ex finanziere passato dall’altra parte della barricata. Quella di Giuseppe Grossi, l’imprenditore arrestato dalla Guardia di finanza di Milano con l’accusa di aver creato un sistema di fondi neri riciclati all’estero, gonfiando i costi di bonifica del quartiere milanese di Santa Giulia.

Anastasi, finito in carcere assieme a un collega, Paolo Pasqualetti, e all’avvocato svizzero Fabrizio Pessina, hanno ricostruito il meccanismo con cui la «Green Holding», colosso nel settore ambientale, accumulava riserve di denaro all’estero. Almeno 22 milioni di euro. Ma, scrive il gip Fabrizio D’Arcangelo nell’ordinanza di custodia cautelare, «il perimetro delle sue entrate illecite è talmente vasto da non potersi allo stato compiutamente definire». Il punto, ora, è questo. I tracciati di quei fondi occulti non sono stati ancora ultimati dagli investigatori. Così come devono ancora essere individuati i destinatari dei «favori» di Grossi. Uno scenario, questo, che rischia di spostare l’inchiesta della procura su un livello più alto. Quello della politica. A conferma di questo dettaglio, poche parole spese ancora dal gip. Poche, ma significative. Grossi, infatti, avrebbe «relazioni di altissimo livello con esponenti del mondo politico e istituzionale che emergono dall’attività di intercettazione telefonica». Di queste telefonate, però, non vi è traccia né nella misura cautelare né nella richiesta d’arresto firmata dalla Procura. Dunque, potrebbero essere finite in un nuovo filone dell’indagine.

È, in effetti, la peculiarità di questa inchiesta. Nata sul «territorio», con i lavori sovrastimati per la bonifica del quartiere Santa Giulia, si è sviluppata fino a delineare un complesso meccanismo di riciclaggio di fondi neri, e - con Giancarlo Abelli, parlamentare del Pdl indicato come il beneficiario di diversi «favori» fatti da Grossi, e l’arresto della moglie Rosanna Gariboldi - ha finito per sfiorare il mondo della politica. In più, sembra profilarsi un’ulteriore ipotesi investigativa, che riguarda non tanto l’aspetto finanziario legato alle bonifiche, quanto quello del vero e proprio smaltimento illegale dei materiali. Per il momento, però, gli inquirenti sono concentrati sul tesoro parallelo di Grossi. Milioni sparsi su decine di conti esteri e in parte rientrati in Italia in contanti, avvolti nella carta di giornale, nascosti dentro buste di plastica consegnate a due collaboratori dell’imprenditore. E poi c’è il capitolo dei beneficiari. Chi siano, è ancora da chiarire. Ma già oggi, Grossi sarà interrogato dal gip per l’udienza di convalida. Quindi, nei prossimi giorni, toccherà ai pubblici ministeri Laura Pedio e Gaetano Ruta. Se l’imprenditore dovesse decidere di parlare, i primi tasselli di questo intricato mosaico potrebbero andare al loro posto. Perché «Grossi - racconta ai giudici Pasqualetti nel febbraio scorso - sapeva e vedeva tutto». Basterebbe molto meno per dare ulteriore slancio al lavoro degli investigatori.

Che la Procura milanese stia facendo non solo un’indagine per reati economici e ambientali ma anche per reati «politici» e tangenti lo raccontano vari segnali. Il verbale di interrogatorio in cui Pasqualetti e Anastasi raccontano di avere fatto da prestanome di Grossi per un finanziamento di quarantamila euro a Forza Italia, o la caccia all’elenco dei destinatari degli orologi da centinaia di migliaia di euro (per un totale di oltre sei milioni) che Grossi faceva acquistare con i fondi neri e distribuiva agli amici: l’elenco sarebbe già in mano ai pm.

Come anche le pen drive sulle quali - nascosti dietro acronimi o nomi di fantasia - i due ex finanzieri registravano i veri destinatari dei bonifici inviati per conto di Giuseppe Grossi in giro per il mondo.
Alcuni di questi pseudonimi sarebbero già stati decrittati. È la «fase due» dell’inchiesta. Quella che intende fare luce su eventuali storie di corruzione.

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