Per schivare l’arresto se n’è andato di corsa dalla magistratura. Ma a trafiggerlo sono stati i suoi stessi colleghi che hanno svelato i suoi balbettii, le sue esitazioni, i suoi distinguo, a proposito dell’inchiesta sul G8. Achille Toro era procuratore aggiunto a Roma, oggi è solo un pensionato che deve difendersi da una sfilza di accuse: favoreggiamento, corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio. I giornali hanno pubblicato le sue telefonate preoccupate al capo della procura capitolina Giovanni Ferrara nelle ore in cui i monumentali fascicoli su Bertolaso diventavano di pubblico dominio.
Toro si è guadagnato qualche titolo, poi è scivolato nelle retrovie, stretto com’era fra le indagini sulla cricca di Balducci, le truffe di Fastweb, le minacce ad Annozero. Nessuno o quasi ha notato che il suo scivolone non è isolato. Più di un magistrato è rimasto impigliato nella rete delle intercettazioni, più di uno è finito sotto inchiesta, più di uno si è trovato in imbarazzo, se non sul piano penale almeno su quello della coscienza. Ci sono state assemblee infuocate della corporazione. E poi critiche affilate ai giudici da parte del premier che promette una riforma del settore giustizia. Poco d’altro.
Vince il low profile. Come se si trattasse di dettagli marginali. E invece no. Sono antipatiche le telefonate fra Toro e Ferrara con Toro agitatissimo e Ferrara che lo invita a passare in procura. Ma sono ancora più imbarazzanti quelle che hanno come protagonista Mario Sancetta, magistrato della Corte dei conti, pure in ottimi rapporti con imprenditori e funzionari alla caccia di appalti e business.
Toro parla con l’avvocato Edgardo Azzopardi e mostra una certa confidenza con il legale che come una vedetta vuol sapere se davvero un’inchiesta sta per travolgere la rete degli amici di Balducci. «Senti, ma ti riesco a vedere per farti gli auguri di persona?», gli chiede Azzopardi, e Toro, serafico, «quando vuoi, non c’è problema». Sancetta invece va giù piatto, conversando con un certo Rocco Lamino, fra i soci del Consorzio Stabile Novus: «Io c’ho una cameriera che mi ha rovinato il bagno fatto da poco... che c’era la vasca». Chiaro, no? «Volevo fare una scelta e mettere magari la cabina doccia». «Lamino - annotano i carabinieri - dà subito disposizioni a De Luca Antonio dell’impresa Lara Costruzioni per iniziare dal lunedì successivo i lavori presso l’abitazione del presidente». Non basta, perché Sancetta, scosso da dubbi amletici, non ha nemmeno il tempo di ringraziare ed è già alle prese con il problema successivo: «È più conveniente come magistrato della Corte dei conti - chiede al solito Lamino che evidentemente ne sa più dell’oracolo di Delfi - occuparsi del ramo Anas o di quello Eni?». Una domanda terra terra che non può essere fraintesa. E a cui Lamino dà una risposta precisa, quasi puntigliosa: «L’Anas è la prima... perché veramente significa star presenti su tutto il territorio nazionale... perché davvero ce n’è bisogno voglio dire di entrare nell’ingranaggio delle manutenzioni... a vita perché veramente le strade hanno bisogno di manutenzione per tutta la vita».
Certo, si fa un gran parlare della questione morale, del sistema gelatinoso, della vergognosa elezione abusiva al Senato di Di Girolamo, degli imprenditori che sono peggio delle sanguisughe, ma come si deve valutare un magistrato che indirizza la propria delicatissima professione a seconda delle convenienze? Un episodio grave perché la Corte dei conti ha il compito di controllare fino alla virgola la trasparenza e la correttezza di chi maneggia risorse pubbliche. È davvero un quadro avvilente quello che emerge dalle intercettazioni.
E che sembra essere trasversale, coinvolgendo magistrati di diversa estrazione: il procuratore aggiunto di Roma, il giudice della Corte dei conti, quello del Tar. Per carità, le responsabilità sono tutte da provare e una chiacchierata non è automaticamente un reato. Ma per dialoghi assai più modesti, quasi incolori, politici e imprenditori sono stati messi in croce.
Ecco Piermaria Piacentini, presidente del Tar Lombardia. Conversa con l’avvocato Guido Cerruti, poi arrestato, e cerca di aiutarlo. Cerruti vuole un arbitro per la Metropolitana milanese, il giudice studia una soluzione: «Il fatto è che proprio stamattina abbiamo avuto i ricorsi contro la Metropolitana milanese.. quindi c’abbiamo... ma vediamo di trovare qualcuno».
I magistrati sono perfettamente integrati nel mondo dei potenti su cui dovrebbero vigilare. Fanno e chiedono favori, si muovono con disinvoltura, frequentano personaggi di dubbia caratura, qualche volta virano oltre i confini della legge. E vengono intercettati dai loro stessi colleghi. Stefano Pesci, magistrato romano meno noto di Achille Toro, avrebbe lavorato sottotraccia come una talpa per conto di un collega di Firenze, titolare dell’inchiesta sul G8, e si sarebbe inserito con la sua password nel registro generale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.