Bruciò il Corano, il giudice lo assolve: "È libertà di espressione"

Per il magistrato il gesto, pur oltraggioso, non può essere punito: "C'è anche il diritto di offendere"

Bruciò il Corano, il giudice lo assolve: "È libertà di espressione"
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È giusto che un'offesa a un credo venga difesa in quanto espressione, anch'essa, della libertà di espressione? Non è un gioco di parole. È vita reale, e può assumere ripercussioni ancor più pesanti se il credo in questione è quello islamico, se il gesto da difendere è il rogo di un Corano e se un magistrato ritiene che il gesto, "per quanto oltraggioso", sia libertà di espressione.

Ma partiamo dai fatti. Lo scorso febbraio, non lontano dal consolato turco a Knightsbridge, Londra, Hamit Coskun brucia una copia del libro sacro vomitando insulti contro l'islam. Non va a finire bene. Intanto perché, durante il rogo, Coskun viene aggredito da un musulmano che vuole difendere la propria religione con un coltello. E poi perché, tre mesi dopo, sempre Coskun finisce per essere condannato da un giudice della Westminster Magistrates' Court. Il reato: istigazione all'odio religioso aggravato dal disturbo della quiete pubblica. Se la cava, però, con una pena simbolica: 240 sterline di multa. Coskun, però, non ha alcuna intenzione di pagare. E non perché la cifra sia fuori dalla sua portata. Non lo è. Non paga perché ne fa una battaglia per la libertà di espressione, la sua. Così fa ricorso e in appello trova un giudice che gli dà ragione.

La libertà di espressione è un totem che può far paura. È un concetto che s'affaccia sull'abisso, una vertigine sull'infinito. La sproporzione su quanto sia lecito affermare finisce, immancabilmente, per tirare su recinti che riducono la libertà. In Inghilterra la condanna di Coskun è stata subita così, come un recinto. Molti, però, al tempo si erano schierati contro quelle 240 sterline di multa. "Mi sono trasferito dalla Turchia al Regno Unito per poter parlare liberamente contro l'islam radicale", aveva spiegato Coskun.

Ora la Southwark Crown Court ha ribaltato la sentenza spiegando che il rogo, "per quanto oltraggioso per tanti musulmani", non può essere punito in un Paese in cui "il diritto di esprimere opinioni deve includere la possibilità di offendere, scioccare o disturbare".

Detto che non daremmo mai alle fiamme alcun libro, tanto meno un testo sacro, questa sentenza rende un po' più liberale l'Inghilterra. E forse anche l'Occidente che, dopo il massacro alla redazione di Charlie Hebdo, si riempiva la bocca con lo slogan "Je suis Charlie" ma che spesso dimentica di difendere la libertà di espressione.

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