130 chili di blues al tritolo

Antonio Lodetti

È l’alfiere di un blues contaminato da mille schegge impazzite eppure puro nell’animo. È il bluesman postmoderno in carne e ossa (soprattutto carne) Popa Chubby, che con i suoi 130 chili giovedì e venerdì ha dato un saggio del suo tempestoso stile chitarristico al Blue Note di Milano in attesa di partire per il tour che lo vedrà protagonista al Pistoia Blues Festival. Non è un chitarrista dalla tecnica sopraffina ma il suo stile è estremamente spettacolare con suoni distorti, accordi tonanti, continui cambiamenti di ritmo. Nelle sue ballate passa dai tempi veloci a quelli lentissimi, dalle ballate in minore al boogie più sfrenato, dalle citazioni di Muddy Waters e Howlin’ Wolf a quelle di Jimi Hendrix. Gioca coi toni introspettivi (Somebody Let the Devil Out scritta in occasione dell’11 settembre) ora con la carica prorompente di Un-American Blues, tratto da Peace Love and Respect, il suo cd più politicizzato. Viene da New York e sposa gli antichi umori blues con la moderna violenza urbana (non a caso agli esordi suonava al Cbgb, tempio del punk) in un cocktail al tritolo anche se spesso troppo dispersivo tra cavalcate rock e accenti rap.

Non uno spettacolo per puristi, ma per gli amanti della chitarra e dei suoni trasversali - che guardano con equanimità alle radici e all’attualità senza dimenticare lo spettacolo - l’omone arcigno e pieno di tatuaggi che si agita sul palco si trasforma in un irresistibile ipnotizzatore. Sul palco c’è solo lui: diligente il batterista Steve Holley, inesistente Nicholas D’Amato al basso. Se non l’avete visto il suo ultimo cd, Wild, è dal vivo ed è il ritratto del suo show.

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