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A 17 anni dal delitto caso riaperto «La madre ammazzata dalle figlie»

Un brutale omicidio per 17 anni senza colpevoli, accaduto a Praisola di San Bonifacio (Verona), che torna alla luce nelle carte depositate al tribunale del Riesame: atti firmati da un pm veronese che accusano Katia e Cristina, le due figlie della vittima, Maria Armando Montanaro, di 42 anni, e tre loro amici.
L’ipotesi è agghiacciante: omicidio volontario premeditato. Forse a muovere gli assassini una questione di soldi. Tre anni prima, a una decina di chilometri di distanza, Pietro Maso con tre amici aveva massacrato i genitori per l’eredità.
Il 19 aprile prossimo, i giudici saranno chiamati a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla procura scaligera contro la decisione del gip che non ha accolto la richiesta di misure cautelari per i cinque avanzata dal pm Giulia Labia, che nell’autunno scorso ha riaperto il caso. Un no maturato per problemi procedurali - come spiega il procuratore scaligero Mario Giulio Schinaia - ma che l’accusa ritiene superabili sulla base della convinzione di avere «elementi probatori» tali da supportare l’accusa a carico del gruppetto, all’epoca poco più che ragazzi. Il gip avrebbe ritenuto inutilizzabile una intercettazione telefonica con una presunta ammissione di responsabilità da parte di una delle amiche. Gli investigatori sarebbero tornati a incrociare quasi per caso la tragedia del 23 febbraio 1994 accaduta nell’appartamento di Maria Armando Montanaro, vedova con due figlie, all’epoca di 19 e 21 anni. A dare l’allarme era stata Katia. Un fermato per altre vicende pare abbia detto che la fidanzata gli avesse raccontato di aver avuto un ruolo in un omicidio. La donna all’epoca era amica delle figlie della Montanaro. Nel corso di una successiva intercettazione ambientale, la confessione sarebbe riemersa.
Poi un attento lavoro di scavo, di ricerca di riscontri, di elementi indiziari e alla fine l’iscrizione delle due e dei tre amici - due donne e un uomo di origini argentine - nel registro degli indagati e la richiesta di misure restrittive nei loro confronti. «Il concorso nell’omicidio - dice Schinaia, sottolineando che questa è solo una fase della vicenda giudiziaria - è una ipotesi abbastanza concreta e attendibile». Una ipotesi mossa dall’accusa che dovrà trovare riscontro nelle prossime fasi giudiziarie.

Il 9 marzo del 1994, i carabinieri avevano fermato Alessio Biasin, 58 anni, preside di una scuola a Monteforte Talpone (Verona) e che da tempo aveva una relazione con la vittima. A portarlo in carcere quelli che gli investigatori avevano definito «contraddizioni» nell’alibi che aveva fornito Poi venne scagionato.

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