I lettori ci dovranno davvero scusare, ma siamo costretti a citare Nichi Vendola pochi giorni prima della vittoria in Puglia del 2005. «La Puglia è appesantita da un’eredità politico-gestionale che ha progressivamente smaltito la sua missione nell'enfasi ragionieristica del risanamento del bilancio, che ha accettato supinamente il dimagrimento della spesa sociale e sanitaria da parte del governo centrale, che non è intervenuta sulla radice dei fenomeni endemici di spreco del denaro pubblico e di corruzione...». A parte il fatto che una parte «della nuova burocrazia regionale» scelta da Vendola è oggi in galera o la rischia, resta il fatto che la Sanità pugliese è ora in rosso di 330 milioni di euro e Vendola ha dovuto aumentare le tasse. Vediamo nel dettaglio.
L’Irap è
in Puglia al massimo consentito del 4,82 per cento. Un
professionista, un’industria a Milano pagano un punto percentuale in
meno: già è difficile fare impresa in Puglia e a ciò si aggiunga
anche una tassazione superiore a quella lombarda. Ma andiamo avanti. Le
Regioni per finanziarsi si agganciano all’Irpef dovuta allo Stato
centrale: si chiamano addizionali. Proprio ieri Vendola, dopo aver
infiammato la piazza di Milano con i suoi «fratelli rom» ha
aumentato l’Irpef pugliese dello 0,5 per cento, portando la sua
addizionale massima all’1,4. Se c’è una cosa che il federalismo
fiscale, fortemente voluto dal ministro Tremonti, ci può regalare è
proprio quella di rendere ancora più corte le gambe delle bugie. I
pugliesi che si lamentano del carico fiscale devono sapere che la
colpa ha un nome e un cognome: Nichi Vendola. Ma soprattutto è
necessario che si accorgano di come le stupidaggini elettorali dette a
Bari, prima o poi tocca pagarle dal commercialista.
Tutto ciò ha molto a che fare con il risultato elettorale di ieri.
Il governo e le amministrazioni locali guidate dal centrodestra hanno
pagato (si legga l’articolo del nostro Stefano Filippi) un effetto
Vendola: Berlusconi e la sua coalizione avevano promesso una riduzione
fiscale. Non solo non l’hanno realizzata, ma ciò è avvenuto in un
periodo di crisi (in cui i guadagni si assottigliano) e con un
recupero di evasione fiscale «veramente apprezzabile» come ha notato
ieri il governatore della Banca centrale. Vista da un altro punto di
vista il governo non ha ridotto le tasse, le ha fatte pagare a tutti
(come è giusto, ma come mai prima era avvenuto) e la crisi economica
internazionale ha tagliato i redditi. Difficile portare a casa voti
con questo cocktail. Il paradosso dei paradossi è che gli italiani
hanno snobbato il Cav, individuando una soluzione decisamente peggiore
(dal punto di vista fiscale) e cioè quella vendoliana.
Se questa è la diagnosi al governo non resta che una strada per recuperare consenso. Mollare la presa sull’evasione sarebbe da folli, ma immaginare che ogni euro di tasse recuperate da Tremonti sia destinato ad un apposito fondo a riduzione del carico fiscale (fondo che quest’anno sarebbe da 9 miliardi) lenirebbe i dolori dei rigori fiscali. E a ciò si dovrebbe associare un’immediata riforma fiscale che preveda una riduzione di pari importo della spesa pubblica.
Da una parte si toglie e si fa male (meno spesa)dall’altra si dà e si fa bene (meno tasse). Altrimenti gli italiani continueranno a trovarsi sia a destra sia a manca con una classe politica che li considera come dei bancomat.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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