2010, finita l’odissea degli album Anche i Beatles vanno su iTunes

Ore 16: è finita un’epoca. Il disco, l’album, il cd, insomma quella roba fisica che conteneva musica è definitivamente andata in pensione. L’abbiamo comprata, consumata, adorata, difesa dall’arrivo del futuro. Ma niente. Ore 16: il sito www.itunes.com è impallato a causa del traffico mostruoso, nella homepage ci sono i Beatles, una bella foto scontornata e già, è proprio così: anche loro, anche i Beatles da ieri sono acquistabili su iTunes. Disco per disco. Canzone per canzone. Ricordo dopo ricordo. Addio, fine di un’epoca. L’ultimo grande gruppo, il ridotto della Valtellina del pop, la Grande Muraglia di chi si agganciava a un periodo finito per sempre, si è digitalizzata. Vuoi ascoltare Love me do oppure Yesterday? Facile, basta downloadare ed eccolo lì, sarà sul tuo ipod appena versati 1,29 dollari. Mai successo prima. Tutti i gruppi della storia, quelli fondamentali come Led Zeppelin o Doors fino a quel vattelapesca che ha composto una canzoncina fortunata vent’anni fa sono già in bella mostra sul mercato del web. Tutti, tranne i Beatles. Fino a ieri ore 16. Oddio, qualcuno dirà: embé? Ormai siamo nell’iLife, la vita è gestita a colpi di clic, l’uomo è una navicella solitaria che può comandare quasi tutto in disgraziata autonomia e quindi che differenza fanno i Beatles? Eh no. Loro hanno simbolicamente aperto un’epoca e ora ne inaugurano un’altra. La webcrazia ha cambiato la musica e forse bisognerà ammettere che cambierà anche tutto il resto.
Da oggi il pop non sarà più lo stesso: sarà definitivamente pensato, studiato, composto e commercializzato secondo il canone assoluto del web. Per carità, succede da un decennio suppergiù. Ma c’erano sempre i Beatles, cioè i più grandi, che loro no, il web no, il web forse mai. In realtà la voce correva da un bel po’ e anche l’anno scorso, durante una visita agli Abbey Road Studios di Londra, qualcuno degli ingegneri del suono confermava che eravamo lì lì. Ora ci siamo e ieri notte il Washington Post aveva anticipato la notizia: la Apple e la Emi annunceranno che tutti i tredici dischi dei Beatles, i due Past Masters e le collezioni Red e Blue potranno essere scaricati come album o come singoli brani. Per di più, chi comprerà il Beatles Box Set in digitale (costo circa 110 euro) potrà vedere/ascoltare anche il Live at the Washington Coliseum, ossia il loro primo concerto americano. Naturalmente le reazioni sono le più varie. Quella diplomatica di Steve Jobs della Apple: «È un onore». Quella retorica e interessata di Yoko Ono: «Nello spirito gioioso di Give peace a chance, trovo sia giusto che ciò avvenga proprio in occasione del 70esimo compleanno di John». Quella cazzara di Ringo Starr: «Ora non mi chiederanno più quando i Beatles sbarcheranno su iTunes». E infine quella più incisiva, parola di Olivia Harrison: «Fantastico!». In effetti è così e se ne sono accorti persino i bookmakers, che di solito capiscono più di tutti: sarà un boom di vendite. E se le canzoni dei Beatles occupassero contemporaneamente tutte le prime dieci posizioni delle hit più vendute, i quotisti pagherebbero dieci volte le scommesse accettate. La favorita a diventare numero uno è Hey Jude (quotata a 6,00), poi arrivano Yesterday e Can’t buy me love a 9,00 e She loves you a 10,00. Ma questi in fondo sono dettagli che contano fino a un certo punto, roba statistica, frattaglie commerciali. Ciò che conta è che la musica sia definitivamente obbligata ad accettare il futuro. Lo fa per sopravvivere economicamente (il giro d’affari di questa operazione a medio lungo termine è di qualche miliardo di dollari).

E anche per allinearsi a un linguaggio e a uno stile di vita che ormai non si può più far finta di niente: i codici espressivi sono diversi, le metriche anche, gli argomenti di cui per forza la musica leggera deve trattare sono cambiati. Perciò la data di ieri è l’inizio definitivo di una nuova epoca. E non è un caso che a battezzarla sia stato un gruppo sciolto più di quarant’anni fa, quando la tv era in bianco e nero e del computer nemmeno l’ombra.

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