Dopo 30 anni, Cat Stevens canta il dialogo

In autunno un nuovo disco in cui abbandona il fondamentalismo islamico

Il vecchio incendiario diventa pompiere? Forse sì. L’età, del resto, conduce alla saggezza, ed era perciò naturale che nel tormentato tragitto ideologico di Cat Stevens, da trent’anni passato al fondamentalismo musulmano col nome di Yusuf Islam, arrivasse il momento di una nuova conversione: questa volta al dialogo tra culture e religioni, oltreché dalla sdegnata ripulsa del mercato discografico al suo utilizzo per fini più nobili. In sintesi: Yusuf Islam torna ad essere Cat Stevens e annuncia per l’autunno un nuovo disco, il primo dopo trent’anni a parte una cover della famosissima Father and son, registrata due anni fa con Ronan Keating.
Del nuovo album nulla si sa, nemmeno il titolo. Il produttore è l’astuto Rick Nowels, già con Madonna, che spera di far lievitare ulteriormente il record - quaranta milioni di dischi - raggiunto negli anni Settanta dall’autore di Morning has broken, Lady D’Arbanville, Foreigner. Passato da eteree serenate folk e da un pensoso intimismo a temi più universali, visitati dal soffio della poesia, fino al soul eroico di Peace train e al pathos epico di Freewing steel. Poi, si è detto, la crisi mistica e la rinuncia ai diritti d’autore accumulati in un decennio di successi. E la scelta di campo a favore di un Islam parecchio integralista, culminata nel rifiuto da parte degli Usa di accoglierlo. Oggi il vecchio combattente affida al nuovo disco una vistosa retromarcia, lasciando trapelare che l’album sarà «uno specchio nel quale i musulmani possano vedere l’Occidente e l’Occidente possa vedere l’Islam».

Obiettivo: «Cantare la vita in questo mondo così fragile: quando lasciai l’industria musicale per dedicarmi alla spiritualità c’erano mille ragioni per farlo, oggi ce ne sono altrettante per tornare a cantare». Come? In pura chiave pop, accantonando gli esperimenti legati a testi sacri e percussioni, tentati recentemente.

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